Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
Paolo Cazzola
Genere: 
Etichetta: 
Capitol / EMI Records
Anno: 
2002
Line-Up: 

Chris Martin - voce, pianoforte, tastiere, chitarra
Jon Buckland - chitarra, voce
Guy Berryman - basso, sintetizzatore, voce
Will Champion - batteria, voce

Tracklist: 

1. Politik
2. In My Place
3. God Put A Smile Upon Your Face
4. The Scientist
5. Clocks
6. Daylight
7. Green Eyes
8. Warning Sign
9. A Whisper
10. A Rush Of Blood To The Head
11. Amsterdam

Coldplay

A Rush of Blood to the Head

Un gruppo come i Coldplay non ha di certo bisogno di presentazioni adeguate. Il quartetto britannico si è guadagnato in pochissimi anni una posizione di tutto rispetto nel panorama Pop/Rock contemporaneo, guidato dal carismatico frontman Chris Martin, arrivando in cima alle classifiche di tutto il mondo e raccogliendo a se un esercito sempre più grande di fan. Il sound del gruppo si è sempre distinto dai suoi illustri colleghi grazie ad una musica dalle tinte prettamente malinconiche e introspettive, supportate da dei testi veramente molto toccanti, scritti per la maggior parte dal paroliere Chris Martin.

Reduci dal successo planetario di Parachutes, all’epoca trascinato dal successo di singoli come Trouble e Yellow, i Coldplay tornano dopo due anni, nel 2002, con A Rush Of Blood To The Head. La band, data per morta e in procinto di sciogliersi, riesce a confezionare un prodotto ancor più complesso e ispirato del precedente, aggiungendo numerosi elementi al proprio sound. La vena alternative del gruppo non è assolutamente scomparsa, anzi si è andata a fondere con molteplici elementi, risultando più matura e comunque sincera. L’album riceve fin da subito numerosissimi consensi da parte della critica, arrivando alle vette delle classifiche di vendita, inglesi e non, mostrando una band veramente minuziosa e capace.

Una dirompente introduzione pianistica ci porta a conoscere Politik, traccia intensissima e cangiante, da annoverrare tra le migliori dell’intero lotto. Si passa perciò dalla potenza iniziale ad una strofa atmosferica e più ragionata, per poi creare circa a metà canzone uno stacco pianistico sicuramente di rilievo. Le differenze rispetto a Parachutes si intuiscono fin da subito: il gruppo valorizza molto di più gli interventi pianistici, per certi versi ammorbidendo il proprio sound, ma senza cadere nella banale e ridondante spirale della commercialità. A seguire la prima grande hit del disco, l’amatissimo singolo In My Place. Il pezzo, interamente sviluppato su una melodia chitarristica molto semplice ma efficace, acquista molto valore soprattutto grazie alla malinconica e tremante voce di Chris Martin, capace di interpretarlo ed eseguirlo al meglio. Arriva il momento di un altro famosissimo singolo dei Coldplay, ovvero God Put A Smile Upon Your Face, traccia notevole, impreziosita dall’alternanza di chitarra acustica e elettrica e da una ritmica decisamente incalzante. Le strutture delle canzoni, prese singolarmente, non deludono affatto le aspettative dei fan più esigenti: i Coldplay riescono infatti a fondere con indiscussa maestria momenti più malinconici con aperture decisamente rock. Ma non è di certo questo che fa di una canzone un piccolo gioiello. Infatti basta andare avanti per imbattersi in un pezzo come The Scientist, che pur non risultando molto articolato, sconvolge l’ascoltare con la sua grande carica di malinconia e sentimento, raccontati dalla sentissima voce di Chris Martin e narrati in un testo veramente notevole.
Il pezzo seguente è la celeberrima Clocks, diventata famosa in tutto il mondo grazie al suo motivo pianistico molto incalzante e coinvolgente, che l’ha consacrata come uno dei pezzi Pop/Rock più famosi degli anni 2000. Tuttavia, la larghissima presa sul pubblico subita dalla canzone, non sminuisce la univoca maestria di certi passaggi e la complessiva bellezza del pezzo. Daylight si presenta come una song dalle tinte marcatamente indie, molto ben sviluppata e atmosferica, soprattuto grazie all’arioso ritornello e alla melodia indiana che si presenta in vari punti della canzone. Si passa quindi all’acustica Green Eyes, buona anch’essa ma nemmeno paragonabile alle precedenti per intensità. La canzone scorre molto facilmente, risultando molto godibile, e aprendo la pista per Warnign Sign, dalle tinte alternative e soffuse, costellate di stacchi nei quali la band offre una buona prestazione, sia individualmente che coralmente. Arriviamo alla stravagante A Whisper, molto enigmatica e intrisa di effettistica, per poi giungere ad A Rush Of Blood To The Head. La canzone, sicuramente una delle migliori del disco, è un climax elettrico condito dalla notevole prestazione vocale di Martin. Il capitolo finale di questo disco è la ipnotica Amsterdam, anch’essa sviluppata in crescendo, partendo da un bellissimo connubio pianoforte/voce, per arrivare a dei passaggi rock molto ben riusciti. Forse il punto più alto del disco, sentitissimo e commovente.

In definitiva, A Rush Of Blood To The Head è un prodotto quadrato, curato nei minimi dettagli e assolutamente meritevole. Un ulteriore passo avanti quindi rispetto al precedente Parachutes, e forse la miglior espressione dell’universo Coldplay, romantico e malinconico. E’ un album da consigliare e da amare, proprio perchè è assolutamente impossibile non essere travolti dalla dolce bellezza che lo attraversa.

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