Voto: 
9.0 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Genere: 
Etichetta: 
Threshold House
Anno: 
1986
Line-Up: 

- John Balance [Jhonn Balance, Geoff Rushton]
- Peter Christopherson
- Stephen Wyndham Thrower

Guests:
Billy McGee – Arrangiamento degli archi in "Ostia"
Paul Vaughn – Voce narrante in "The Golden Section"
Raoul Revere [Marc Almond] – Voce aggiuntiva e cori in "Slur" e "Who By Fire"
Clint Ruin [Jim Thirlwell] – Arrangiamento degli ottoni in "Circles of Mania"

Tracklist: 

1. The Anal Staircase
2. Slur
3. Babylero
4. Ostia (The Death of Pasolini)
5. Herald
6. Penetralia
7. Ravenous
8. Circles of Mania
9. Blood From the Air
10. Who By Fire
11. The Golden Section
12. The First Five Minutes After Death

Coil

Horse Rotorvator

A due anni esatti dalla morte di John Balance, mi permetto di omaggiare lui e la sua musica con questa recensione di uno dei lavori più rappresentativi dei ‘suoi’ Coil, una band da sempre in prima fila per quanto riguarda l’avanguardia musicale, capace di tracciare linee guida per generi come l’Industrial, l’Elettronica o l’Ambient moderno, rimanendo sempre a livelli altissimi durante la propria pluri-ventennale carriera, tragicamente conclusasi due anni orsono.

La storia dei Coil iniziò nei primi anni ’80, quando il carismatico John Balance e il grandissimo sperimentatore Peter Christopherson (attivo anche con i seminali Throbbing Gristle, fondatori del movimento industriale) uscirono dagli Psychic TV per iniziare nuovi percorsi musicali (oltre che con i Coil, anche con altri side-projects) che li porterà a pubblicare diversi lavori sperimentali; pur rimandando un’accurata analisi dei primi anni di vita del gruppo ad un più appropriato contesto, va premesso che la band arrivò ad “Horse Rotorvator” maturata dall’esperienza di un EP rumorista di grande intensità (“How to Destroy Angels”) e da un full-lenght di debutto (“Scatology”) che univa le sperimentazioni di inizio carriera e di “How to Destroy...” con suoni più quadrati e vicini alla forma-canzone. “Horse Rotorvator”, il capolavoro dei Coil ottantiani, nasce da qui, dal perfezionamento di “Scatology” e dalla messa a punto di uno stile personale, unico, inimitabile nella sua genialità, forte nelle sue provocazioni, perfetto nell’alchimia musicale.

“Horse Rotorvator” ci presenta suoni cupi, ossessivi, morbosi, con melodie dal fascino oscuro e coinvolgente, modellando la propria musica con l’unione di brividi Dark, misteri Gotici, frastuono Industriale, ritmi Rock e momenti sospesi in un Ambient malefico ed inquietante: magistrale regista di tutto ciò è Christopherson, inarrivabile mago dei sintetizzatori, dei campionamenti e della produzione, capace di creare sfondi di accecante bellezza per le interpretazioni vocali di Balance, personale e camaleontico nelle sue performance, in possesso di un range espressivo interminabile, a partire dalle tristi rime di “Ostia” alle urla di follia di “Circles of Mania”; liricamente, invece, i temi del disco girano principalmente intorno alla morte e al dolore, con ricorrenti rimandi alla storia della Roma antica, alle provocazioni sessuali, ed ai residui esoterici che caratterizzavano la band ai propri inizi.

Disco dalle numerosissime chiavi di lettura, “Horse Rotorvator” brilla soprattutto grazie all’apporto di diversi brani che raggiungono l’eccellenza anche presi singolarmente, ma riceve un’ulteriore capacità espressiva grazie ad episodi più particolari e complessi che necessitano di una maggiore attenzione durante l’ascolto.
Della prima categoria di canzoni fanno sicuramente parte l’opener “The Anal Staircase”, dalle sbilenche ritmiche industriali, vorticosamente circondate dagli effetti campionati di Christopherson: una melodia impossibile da cancellare dalla mente una volta ascoltata, esattamente come accade per la successiva “Slur”, in cui bassi e percussioni disegnano un paesaggio inconfondibile, afoso, desertico, caldissimo nelle atmosfere quanto ricercato nei cori, opera di Marc Almond (vocalist dei Soft Cell e anch’egli personaggio decisamente sopra le righe, per usare un eufemismo); della stessa pasta la pesante marcia strumentale Industrial di “Penetralia”, acida e ossessionante, fra chitarre abrasive, superbi inserimenti dei fiati e possenti ritmiche elettroniche. A completare la serie di ‘hit tracks’ troviamo una spettrale e strisciante cover di Leonard Cohen, “Who By Fire”, completamente stravolta dal Folk al Dark, e il capolavoro del disco, “Ostia (The Death of Pasolini)”, in cui il controverso episodio del delitto del celebre regista friulano viene unito alla storia di Sansone; il tema è supportato da arrangiamenti sublimi, con archi da brividi, arpeggi misteriosamente conturbanti e una voce desolata ma al contempo ombrosa, teatrale, indecifrabile: dimesso ma profondo, il quarto capitolo di “Horse Rotorvator” si segnala come uno dei migliori in assoluto scritti dal progetto inglese.

Ho accennato anche ad una seconda categoria di canzoni, che necessitano di essere centrate nell’ambito del disco, perché meno esplosive ai primi ascolti. Fra queste, particolare menzione è meritata dalla coppia finale, “The Golden Section” e “The First Five Minutes After Death”: la prima è una pièce Ambient maestosa, con cori gregoriani e inserti di fiati e vibrazioni Drone (in pratica, un Dark Ambient in anticipo di anni rispetto ai capolavori dei Raison d’Etre), gestito dalla fredda e impeccabile narrazione di Paul Vaughn, voce ‘scientifica’ della TV inglese; la seconda è una strumentale che porta con sé tutti i dubbi di cui abbiamo indizio nel titolo: fra lampi di speranza e terribili presentimenti, è la perfetta conclusione per un disco dalla potenza soprannaturale. Altro episodio peculiare è “Circles of Mania”: dell’interpretazione fuori dagli schemi di un Jhonn Balance malato e sconvolgente ho già parlato, ma la song si fa notare anche per i contrastanti arrangiamenti jazz degli ottoni, cortesia di un altro ‘pazzo’ dell’epoca, ovvero Jim Thirlwell, leader del progetto Foetus.
A completare il disco, il sofferto racconto apocalittico di “Blood From the Air”, le brevi “Babylero” (l’inquietante voce di una bambina che canta una melodia alienante) e “Herald” (una marcetta sconclusionata e desolante nel suo –voluto- pressapochismo), e l’atmosferica “Ravenous”, esperimento di Industrial/Ambient rumorista, raggelante nel suo campionario di cigolii, percussioni, disturbi elettrici, tastiere mortifere e melodie cimiteriali: la colonna sonora perfetta per un film horror.

Quello che più colpisce è che a distanza di 20 anni “Horse Rotorvator” suona ancora sperimentale, giustamente pretenzioso e arditamente oltraggioso, ancora capace di sconvolgere nonostante la quantità immane di acqua passata sotto i ponti nel frattempo, una discreta parte della quale fatta peraltro fluire dalla “diga Coil”; “Horse Rotorvator” è uno dei masterpieces della scena industriale avanguardista degli anni ’80, insieme ai seminali lavori di Einstürzende Neubauten, Current 93, Laibach, Psychic TV e “compagnia sperimentante”; oltre a ciò, è uno dei dischi più belli firmati dalla coppia Balance-Christopherson, e considerato lo spessore musicale del duo, questo è un fattore assolutamente non secondario; infine, “Horse Rotorvator” è il miglior punto d’approdo per scoprire la prima fase, quella del secondo lustro degli anni ’80, della musica dei Coil.


Nov. 13, 2006 - in Memory of John Balance (February 16, 1962 – November 13, 2004).

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