Voto: 
5.5 / 10
Autore: 
Marco Lorenzi
Genere: 
Etichetta: 
V2 Music
Anno: 
2007
Line-Up: 

- Alec Ounsworth – voce, chitarra
- Robbie Guertin – chitarra, tastiere, voce
- Lee Sargent – chitarra, tastiere, voce
- Tyler Sargent – basso
- Sean Greenhalgh – batteria, percussioni

Tracklist: 

1. Some Loud Thunder (03:47)
2. Emily Jean Stock (04:00)
3. Mama, Won't You Keep Them Castles in the Air and Burning? (04:27)
4. Love Song No. 7 (04:32)
5. Satan Said Dance (05:32)
6. Upon Encountering the Crippled Elephant (01:13)
7. Goodbye to Mother and the Cove (05:38)
8. Arm and Hammer (02:00)
9. Yankee Go Home (03:32)
10. Underwater (You and Me) (05:18)
11. Five Easy Pieces (06:47)

Clap Your Hands Say Yeah

Some Loud Thunder

Parola d’ordine: confusione. Traspare poco dei primi Clap Your Hands Say Yeah, nella loro seconda fatica, il full-lenght Some Loud Thunder, che vede la luce a circa due anni dall'esordio che tanto successo riscosse a cavallo tra il 2005 ed il 2006 anche in Europa.
Per la Indie Rock band di New York è arrivato il momento di tirare le prime somme. Troppa fretta, smanioso desiderio di mescolare le carte, un pizzico di presunzione forse, hanno reso questo Some Loud Thunder un mix tra la distorsione di suoni già sentiti e sperimentazioni al limite della logica. E nel calderone, come ci si poteva aspettare, non c’è granchè su cui soffermarsi.

La voce di Alec Ounsworth si prende un posto in prima fila fin dall’incipit del disco, che comincia con i suoni ovattati, a tratti esageratamente distorti della title-track. Dave Fridmann (già al fianco di Mercury Rev e The Flaming Lips) è ancora in plancia di comando, responsabile di una produzione che stavolta mette sul piatto più di qualche pecca. Mama, Won't You Keep Them Castles in the Air and Burning? è tra le opere più riuscite, in questo secondo capitolo. Ma non basta certo un pezzo discretamente congegnato ad evitare un cambiamento di rotta che alla band newyorkese non giova granchè. Il pianoforte di Love Song N.7 convince ancor meno mentre Satan Said Dance riaccende la fiammella di sentire i Clap Your Hands Say Yeah più coinvolgenti. La traccia si snoda disordinatamente tra riff elettronici e un pianoforte impazzito, mentre alla base sono le percussioni a fare da necessario contrappunto alla voce di Ounswotrh. E’ il pezzo più veloce e, nell’altalena di sensazioni cui i Clap Your Hands Say Yeah ci conducono, ci fa quasi dimenticare l’agrodolce incipit del full-lenght.

Upon Encountering the Crippled Elephant, invece, sembra riportarci ad una domenica pomeriggio in un Luna Park sgangherato, con l’innesto della fisarmonica ed una sezione ritmica che disorienta non poco. Poco più di un minuto senza cantato. Domanda: era necessario?
Quindi è la volta di Goodbye to the Mother and the Cover, in cui l’arpeggio della chitarra si unisce all’incalzante melodia dei synth, una delle poche certezze in Some Loud Thunder. Il resto? C’è la semiacustica Arm & Hammer, che a dire il vero passa quasi inosservata, e la stravagante Yankee Go Home. In chiusura una Five Easy Pieces che ci rimanda a sonorità più disincantate, è un momento interessante che i Clap Your Hands Say Yeah ci propongono con melodie accessibili anche se non esageratamente orecchiabile. La voce di Ounsworth non è in prima linea, mentre sono l’innesto di parti ai synth ed il lavoro della chitarra distorta, oltre ad una sezione ritmica ovattata, a rendere questa undicesima e conclusiva traccia quella adatta proprio ai titoli di coda.

Giudizio non facile, quello che dobbiamo riservare ai Clap Your Hands Say Yeah in Some Loud Thunder. Coraggio e desiderio di innovarsi sono alla base, senza dubbio, ma il risultato è un miscuglio che finisce per disorientare anche l’orecchio con maggiori attitudini ad un simile genere musicale.
Non tutto è oro ciò che luccica, in questo secondo capitolo della band americana. Anzi, di luccicante c’è molto poco, perchè il disco sembra uscire dopo una lunga e difficile gestazione salvo scoprire che, invece, segue il predecessore di poco più di dodici mesi. Chi lascia la strada vecchia per quella nuova, sa quello che perde, ma non sa quello che trova. Per i Clap Your Hands Say Yeah, più di ogni altra band oggigiorno, un detto che dovrebbe suonare più o meno così, calza a pennello.

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