Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Matthias Stepancich
Genere: 
Etichetta: 
Rise Above/Metal Blade
Anno: 
2009
Line-Up: 

Yoshiaki Negishi - voce
Tatsu Mikami - basso
Junji Narita - batteria
Tom Sutton - chitarre

Tracklist: 

1. El Padrino (Adolfo De Jesus Constanzo)
2. Shotgun Boogie (James Oliver Huberty)
3. The Gray Man (Albert Fish)
4. Blood Sucking Freak (Richard Trenton Chase)
5. Master Heartache
6. Born to Raise Hell (Richard Speck)
7. Badlands (Charles Starkweather & Caril Fugate)

Church of Misery

Houses of the Unholy

Dopo l'entrata in line-up dell'incendiario chitarrista Tom Sutton, ma soprattutto dopo il ritorno nella band del vocalist Yoshiaki Negishi (lo stesso di Master of Brutality), il terzo full-legth dei giapponesi Church of Misery, dal titolo Houses of the Unholy (Rise Above/Metal Blade, 2009) non poteva che rivelarsi uno dei loro lavori più riusciti, coinvolgenti e personali.
Nonostante il loro rifiuto dell'etichetta "stoner", preferendo quella "doom", l'album è ancora una volta lontano dai territori del doom tradizionale, dal quale non riprende più di qualche riff apocalittico (che si sente immediatamente nelle scosse telluriche in apertura d'album), e semmai si prodiga ad aggiornare ai tempi odierni gli elementi più trascinanti dei primi Black Sabbath, Led Zeppelin (parodiati esplicitamente nel titolo del disco) e Jimi Hendrix, sposandoli sì ad un'aggressività vocale e batteristica derivante dallo sludge, ma senza mai perdere d'occhio il basilare concetto di groove. In quest'operazione, il quartetto si dimostra quindi assolutamente molto più vicino a band come Sleep e High on Fire piuttosto che ad act di stampo più hardcore come gli Iron Monkey o più doom come gli Electric Wizard.

Esempio perfetto di questo approccio è già l'opener El Padrino (Adolfo De Jesus Constanzo), che dopo un'intro thriller e qualche scossone doom esplode invece in un riff pienamente blueseggiante, citando Iommi come Hendrix, al quale si accompagnano una sezione ritmica fragorosa e la voce felicemente sporca e cavernosa di Negishi; il groove prosegue senza sosta, e, grazie anche ad una serie di esplosivi giochi chitarristici nella seconda metà, riesce a raggiungere agilmente i 9 minuti di durata.
La breve Shotgun Boogie (James Oliver Huberty) si scatena su pattern ritmici più veloci e sincopati, raggiungendo una cavalcata punk'n'roll nella seconda metà, ma ancor meglio riesce a fare The Gray Man (Albert Fish), grazie ad un'altra serie di riff killer e acuti chitarristici sui quali la voce di Negishi tocca forse l'apice di gorgheggio "melodico", prima di una parentesi inquieta che introduce l'esplosiva outro (con due assoli e ritmiche alla Monster Magnet).
Gli 8 minuti di Blood Sucking Freak (Richard Trenton Chase) rallentano notevolmente i tempi e danno più spazio alle torrenziali escursioni chitarristiche di Sutton, prima di un cambio di ritmo più rapido verso i due terzi.
Gli sbotti sgolati di Negishi aprono Master Heartache, ma si tratta di un episodio sottotono prima del gran finale, rappresentato dai sanguigni 7 minuti di Born to Raise Hell (Richard Speck), con riff alla High on Fire, voce straziata, chorus infernale, galoppate southern-blues sincopate, parentesi rallentata quasi psichedelica in stile Kyuss, assolo scoppiettante, e dagli 8 minuti della conclusiva Badlands (Charles Starkweather & Caril Fugate), forse l'episodio più catchy in assoluto, grazie ad un riff portante maestoso e un chorus epico.

Sebbene il gioco delle liriche legate a celebri serial killer sia ormai abusato e inizi a risultare ripetitivo, l'album riesce però nell'impresa di suonare meglio rispetto a Master of Brutality grazie ad una produzione più accorta, e, anche se forse quel full-length è destinato a rimanere il simbolo della band, Houses of the Unholy, sicuramente superiore all'acerbo Vol. 1 e al sottotono The Second Coming, gli si può in realtà affiancare tranquillamente come il loro miglior risultato ad oggi anche in termini di songwriting e coinvolgimento.
 

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