Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Genere: 
Etichetta: 
Constellation
Anno: 
2007
Line-Up: 

- Vic Chesnutt - Voce, Chitarra
- Bruce Cawdron - Batteria
- Guy Picciotto - Chitarra
- The Silver Mt. Zion Memorial Orchestra - Elettronica, Tastiere, Chitarre

Tracklist: 

1. Warm
2. Glossolalia
3. Everything I Say
4. Wallace Stevens
5. You're Never Alone
6. Fodder On Her Wings
7. Splendid
8. Rustic City Fathers
9. Over
10. Debriefing
11. Marathon
12. Rattle

Vic Chesnutt

North Star Deserter

Di artisti come Vic Chesnutt ne girano ormai pochi nel panorama musicale odierno: cantautore versatile nonchè aperto a contaminazioni sonore anche di un certo spessore, Chesnutt è un artista che non ha mai faticato a colpire con la carica drammatica della sua musica. Oggi rivederlo in questa forma smagliante (da Bob Dylan post moderno) è un piacere che si raddoppia stando al pesante stallo creativo a cui il compositore statunitense s'era abbandonato verso la fine dei '90, lasciando svanire la passione e l'intensità attraverso cui la sua proposta musicale ha, per anni, affascinato e colpito una consistente mole di ascoltatori.
Con Ghetto Bells del 2005 il suo progetto personale aveva pienamente ripreso piede dopo un periodo di sole collaborazioni e scadenti esperimenti paralleli, adesso, con North Star Deserter, Chesnutt ricalca con tratto raffinato e geniale la sua grandezza compositiva, e lo fa in questo lavoro più complesso e ricercato dei suoi precedenti, ma in ogni caso piacevole e intenso.
A supportare Chesnutt in quest'ultima esperienza in sala di registrazione non ci sono musicisti presi per strada o semi sconosciuti utili solo a dare qualche apporto strumentale: a fargli compagnia tra le mura dello studio Hotel2Tango a Montreal ci sono infatti i membri della Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra , Bruce Cawdron di Godspeed You! Black Emperor e Set Fire To Flames, nonchè Guy Picciotto degli intramontabili Fugazi.

Si spiega così la grande varietà stilistica che in questo disco fa da padrona: il cantautorato a tinte malinconiche di Chesnutt si amalgama perfettamente alle scorazzate noise/post rock dei due complessi canadesi, e quando i risultati di tale commistione sono canzoni come Splendid e Debriefing, allora c'è solo da meravigliarsi. Splendid, in cui la prova vocale di Chesnutt si dimostra come al solito ottima, è una ballata in cui la matrice cantautoriale del folk crea atmosfere aperte e dilatate da oscure distorsioni elettriche che, se da una parte appesantiscono l'apparato strumentale della canzone, dall'altra le donano un senso tragico ancora più sentito che in Rustic City Father prosegue la sua toccante danza. Debriefing rifinisce ancora meglio questo intreccio tra la purezza del folk (ben resa in Wallace Stevens e Over) e la macchinosità delle distorsioni (presenti anche nella trascinante Everything I Say), amalgamando contenuti di quiete e riflessione a martellanti esplosioni sonore che la rendono la canzone più propriamente "post" del lotto.
Chesnutt, per gli episodi citati, si dimostra fin troppo versatile nell'adattare il suo stile e soprattutto la sua voce ai rinvigoriti schemi strumentali del disco, ma quando tale appoggio viene meno, quando le cornici elettriche liberano gli spazi prima occupati, gli indefiniti e vaghi contorni cantautoriali, spesso fin troppo soporiferi, guadagnano in eleganza ma perdono quel tocco d'elevazione drammatica che, a conti fatti, risulta essere l'elemento di maggior importanza dell'album.

Vic Chesnutt è rimasto e rimarrà un personaggio di assoluto rispetto e North Star Deserter è la conferma delle sue capacità compositive; seppur risulti impossibile catalogarlo come un capolavoro, l'ultimo lavoro sfornato dal cantautore americano rientra tra le sue migliori opere e, indubbiamente, tra le più interessanti e affasinanti del 2007 appena conclusosi, soprattutto se ci si focalizza sulla precisione e l'intelligenza compositiva su cui tale prodotto si basa.
I tempi del country e del cantautorato indipendente sembrano ormai sbiaditi, il periodo in cui Chesnutt viveva sotto l'ala protettrice di artisti come Michael Stipe dei R.E.M. è finito da tempo: a 43 anni, il più poetico musicista paraplegico della storia assieme a Bob Wyatt (perse l'uso delle gambe in un incidente nel 1983) ha ancora moltissimo da dire, le sue riflessioni ancora affascinano prendendo forma da drammatiche melodie esistenziali, e le sue introspezioni messe in musica ancora fanno crollare qualsiasi resistenza od opposizione emotiva. E se i risultati sono questi, allora dire che va bene così è poco.

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