Voto: 
6.0 / 10
Autore: 
Damiano Cembali
Genere: 
Etichetta: 
Century Media
Anno: 
2009
Line-Up: 

:
- Andy Dörner - voce
- Marc Görtz - chitarra
- Denis Schmidt - chitarra, voce
- Marco Schaller - basso
- Patrick Grün - batteria

Tracklist: 

:
01. 24 Years
02. Love Song
03. Caliban’s Revenge
04. End This Sickness
05. Walk Like The Dead
06. No One Is Safe
07. Liar
08. The Denegation Of Humanity
09. Unleash Your Voice
10. All I Gave
11. In The Name Of Progression
12. Coma

Caliban

Say Hello to Tragedy

Nonostante siano una delle formazioni più longeve e conosciute del panorama metalcore europeo, i Caliban non hanno mai deciso di innovare radicalmente il proprio sound, preferendo continuare ad adagiarsi sugli allori conquistati per via dell’esplosione internazionale del loro movimento d’appartenenza e cavalcando di volta in volta gli ultimi sussulti di un’onda oramai innocua e spenta. Nel corso degli anni la continua e costante nascita di band del tutto stereotipate, impegnate nell’estenuante ripetizione e persino nell’abuso incessante di formule presto giunte a saturazione, ha contribuito a catalizzare il progressivo decadimento del genere metalcore, in maniera repentina almeno quanto la sua furiosa crescita e diffusione. Il pubblico più sveglio, progressivamente assuefattosi all’interminabile bombardamento di proposte musicali del tutto identiche e prive di qualsivoglia personalità, ma estremamente abili nel seguire la corrente di volta in volta più propizia, ha lentamente ripreso i sensi, imparando a distinguere immediatamente gli act più genuini e propositivi da quei numerosi gruppi clone oramai privi di qualunque interesse e di qualsiasi idea, giunti fuori tempo massimo anche solo per raccogliere le briciole di una torta tanto ricca quanto presto divorata. Proprio l’incremento della selettività critica degli ascoltatori ha fatto sì che a sopravvivere siano solo quei gruppi in grado di distinguersi in maniera sostanziale e nitida dalla massa amorfa ancora intenta a brucare terre del tutto inaridite: è il caso di formazioni dalla spiccata individualità come gli inimitabili Every Time I Die, che hanno saputo inserire, su una solida base metalcore, folli strutture math e suggestivi scenari southern, o, più in generale, di tutti quei complessi che, pur mantenendo intatta la loro identità pregressa, sapranno trovare soluzioni personali e riconoscibili e distinguibili.

Questa svolta inevitabilmente finirà per coinvolgere anche i Caliban ed è proprio secondo questa prospettiva che occorre valutare il loro ultimo lavoro: Say Hello To Tragedy, nonostante presenti forme assolutamente canoniche e spesso persino retoriche (a partir dalla groovy No One Is Safe per arrivare alla conclusiva Coma), evidenzia alcune migliorie assolutamente non trascurabili, come un netto indurimento del sound e una drastica riduzione di quelle melodie ammiccanti e posticce che tanto successo riscuotevano fino a pochissimo tempo fa. Di contro permangono ancora alcuni retaggi di un passato non del tutto abbandonato, come la ripetizione asfissiante di breakdown sempre uguali e perfettamente inutili o l’inserimento forzato (meglio, slegato) di incisi clean a tratti dolciastri. Tuttavia, proprio l’efficacia emotiva che quegli stessi elementi oramai abiurati aveva garantito a certe produzioni precedenti della formazione tedesca, viene in parte meno in occasione di quest’ultimo Say Hello To Tragedy, dove strutture canore maggiormente ricercate e complesse finiscono talvolta col diventare del tutto velleitarie ed inconsistenti, sebbene non manchino piacevoli eccezioni come l’oscura In The Name Of Progression (nonostante la coda finale, un po’ troppo prolissa).

Insomma, l’ultima fatica dei Caliban è in perfetta sospensione fra uno strisciante desiderio di crescere e migliorare, in spessore compositivo e soprattutto in personalità artistica, e il comprensibile timore di allontanarsi troppo da quegli stilemi ormai collaudati che, finora, hanno garantito loro un discreto successo di pubblico e vendite. E’ proprio quest’ultima tensione a prevalere, facendo di Say Hello To Tragedy un platter fortemente ancorato ad un metalcore primitivo e fortemente thrashy, con qualche ondivaga irruzione deathcore; un album solido, tecnicamente ben suonato e ottimamente prodotto, in grado di regalare attimi di assoluto furore mistico (il poker iniziale costituito da 24 Years, Love Song, Caliban’s Revenge ed End The Sickness è praticamente inappuntabile), riservati però solamente a coloro i quali da sempre apprezzano questo genere e ancora continuano a farlo nonostante la sua inesorabile eclissi. Un ultimo quarto di luna, infatti, rischiara le note di quest’ultimo lavoro, ma si fa sempre più concreto, per i suoi artefici, il rischio di restare intrappolati nel cono d’ombra di quanti, saliti frettolosamente su quel carro vincente chiamato metalcore, non hanno saputo/voluto abbandonarlo al momento opportuno e viaggiare soli, senza etichette, con la propria arte ed il proprio talento.                 


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