Voto: 
7.4 / 10
Autore: 
Salvo Sciumè
Genere: 
Etichetta: 
Eleven Seven Music
Anno: 
2008
Line-Up: 

- Josh Todd - voce
- Keith Nelson - chitarra
- Stevie D. - chitarra
- Jimmy Ashhurst - basso
- Xavier Muriel - batteria, percussioni

Tracklist: 

1. Rescue Me
2. Tired Of You
3. Too Drunk...
4. Dreams
5. Talk To Me
6. A Child Called "It"
7. Don’t Go Away
8. Fallout
9. Rose
10. All Of Me
11. Imminent Bail Out
12. Cream

Buckcherry

Black Butterfly

Era difficile ripetersi ai livelli dell’ottimo 15 (o Fifteen) per gli americani Buckcherry, che a soli due anni di distanza dall’appena citato predecessore si ripresentano con Black Butterfly, quarto studio album di una carriera decennale che non ha però ancora regalato soddisfazioni pari a quello che sembrerebbe essere l’effettivo potenziale dell’act statunitense.

Ciò che si nota immediatamente dalle note del nuovo lavoro della band di Josh Todd è la ripresa di quelle venature post-grunge che sembravano essere state quasi del tutto abbandonate nel precedente 15, più improntato al contrario a stilemi tipicamente “classic” rock, dovuto anche alla presenza del song-writer Marti Frederiksen (Aerosmith, Def Leppard e Motley Crue tra gli altri). I livelli, come già anticipato, non sono quelli raggiunti nel 2006, e del resto è ben evidente che non sono presenti tutte quelle hit (Sorry, Crazy Bitch, Everything, Broken Glass) che avevano regalato loro ampi consensi, settimane di permanenza nelle charts USA e persino un disco di platino, ma i Buckcherry, complice anche il lungo letargo di alcune delle migliori band statunitensi venute fuori negli anni ’90, quali Steelheart o Baton Rouge, dimostrano di essere attualmente una delle pochissime band d’oltreoceano ad interpretare le sonorità hard rock con talento e credibilità, ma soprattutto sembrano essere una delle più valide (se non la più valida) band facente parte di quella corrente denominata “modern hard rock”, per il semplice fatto di essere forse gli unici a “sporcare” in maniera convincente la loro innata attitudine glam con le più moderne sfumature post-grunge, cosa che senza ombra di dubbio sanno fare meglio dei più celebrati amici e connazionali Velvet Revolver, e riuscendo peraltro a rimanere sempre in un preciso contesto hard rock, ritagliandosi in tal modo un diverso, più moderno e personale modo di interpretare lo sleaze/glam.

Rimangono sempre ben visibili quelle influenze riconducibili all’hard rock più classico di Aerosmith, AC/DC, Cult e Guns N’ Roses (a tal proposito Talk To Me sembra proprio un riuscito compromesso di Aerosmith ed AC/DC), ma queste sembrano tornare a convivere, come già avveniva in Buckcherry (1999) e Time Bomb (2001), con le lievi sfumature delle più moderne sonorità americane di Soundgarden, Mother Love Bone e Alice In Chains.
Il rockabilly selvaggio e ritmato di Too Drunk... ha avuto l’oneroso compito, svolto finora con discreto successo, di lanciare l’album, seguito presto dagli altri due singoli del disco, cioè Don’t Go Away, ballad che ben enfatizza la loro doppia natura in parte glamour e melodica ed in parte grunge, e l’ottima opener Rescue Me, uno dei brani più trascinanti e convincenti del lotto.
Sugli scudi, come sempre, l’interpretazione graffiante, grintosa e cartavetrata del singer Josh Todd, come ben si può dedurre ascoltando l’aggressiva Tired Of You, ed ampiamente convincente risulta anche la prova dei chitarristi Keith Nelson e Stevie D. e la sezione ritmica di Ashhurst e Muriel. Molti dei brani presenti (la monotona A Child Called "It", le elettrizzanti Fallout e Imminent Bailout, le ballad Rose e Cream), seppure tra alti e bassi piuttosto fisiologici ed eccezion fatta per il piacevolissimo rock n’ roll “old-style” di All Of Me, sembrano adatte a candidarsi come significativo manifesto di “modern hard rock”, mentre si può anche notare una consistente presenza di slow-tempo e ballad, spesso comunque interessanti ed anche diverse l’una dall’altra, dalle più canoniche, malinconiche e sognanti Dreams e Don’t Go Away alla più bluesy ed un po’ bonjoviana (ovviamente prima maniera) Rose ed alla più originale e sempre bellissima Cream, ricca di sfumature diverse e repentini cambi di tempo e di umore.

Black Butterfly è uno di quei dischi che vien fuori gradualmente, mostrando ad ogni ascolto una nuova e sempre gradevole sfaccettatura, che pur non eguagliando gli apici del suo predecessore 15 non può che essere vivamente consigliato agli appassionati del rock più muscolare, verace e sanguigno. I Buckcherry da parte loro confermano uno stato di forma davvero invidiabile, reso evidente non soltanto dalla buona prova offerta dal quintetto di Los Angeles, ma anche e soprattutto dalla costanza e dalla qualità di un song-writing davvero ispirato e convincente.

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