Voto: 
8.5 / 10
Autore: 
Marco Lorenzi
Genere: 
Etichetta: 
Saddle Creek
Anno: 
1998
Line-Up: 

- Conor Oberst – voce, chitarra, piano
- Matt Maggin – basso
- Matt Focht – batteria, percussioni
- Jeremy Barnes – batteria, percussioni
- Kevin Barnes – tastiere
- Mike Mogis – organo, chitarra, piano, tastiere

Tracklist: 

1. If Winter Ends (03:25)
2. Padraic My Prince (03:48)
3. Contrast and Compare (03:57)
4. The City Has Sex (02:11)
5. The Difference in the Shades (04:23)
6. Touch (03:42)
7. June on the West Coast (03:34)
8. Pull My Hair (04:10)
9. A Poetic Retelling of an Unfortunate Seduction (04:24)
10. Tereza and Tomas (25:46)

Bright Eyes

Letting Off the Happiness

Esistono anche i geni, nel variegato mondo della musica. Alcuni di questi li possiamo annoverare, ipoteticamente, nella schiera di coloro che fanno musica per un pò e finiscono per essere dimenticati o tenuti in considerazione dai più come semplici esibizionisti.
Conor Oberst, invece, fa parte di quella sparuta rappresentanza che la musica ce l’ha nel sangue, prima che nella testa. Non azzardiamo nulla nel definire Bright Eyes, nella persona di Oberst o nella band indifferentemente, come una perla degli ultimi decenni di musica del panorama internazionale. Un anno dopo l’esordio con A Collection of Songs Written and Recorded 1995-1997, la seconda fatica è Letting Of The Happiness, album che ci sembra di sfogliare come pagine di vecchi ricordi, scritti in un diario di prima adolescenza.

Sincerità, disincanto, leggerezza: possiamo tracciarli così, i percorsi immaginari che Bright Eyes propone nel suo stravagante mondo. Il tutto in suoni e liriche dirette ed emozionanti. Oberst sa il fatto suo, con la chitarra sotto braccio. E’ virtuoso e si erge fin dalle prime battute come una potente ventata di novità nella scena Indie Rock della fine del secolo. If Winter Ends mette i punti sulle “i” fin dal principio: la chitarra acustica dipinge un paesaggio da libro di favole per bambini. E’ proprio nell’incipit di questo full-lenght che emerge il carattere del frontman, il quale racconta con disinvoltura la sua realtà. And I scream for the sunlight, or a car to take me anywhere / Just get me past this dead and eternal snow sono i versi più significativi della traccia d’apertura. Oberst imbraccia la chitarra come se si trovasse di fronte ad un gruppetto di amici, quelli di sempre, sullo sgabello al centro di una stanza dai colori scuri. Contrast and Compare dà quest’idea, se non altro per il duetto con Neely Jenkins, quindi The City Has Sex è l’accelerazione che non t’aspetti. Pezzo fulmineo, si consuma in poco più di due minuti, sfumando tra l’emocore in salsa acustica ed il Folk Rock vecchia maniera. Impressione, questa, che si protrae anche con The Difference in the Shades.

Sono le liriche, come accennato poche righe sopra, a giocare un ruolo fondamentale nella musica targata Bright Eyes. Oberst tiene a puntualizzare che i quadretti disegnati nelle sue canzoni non sempre si riferiscono alla realtà da lui stesso impersonata. Sono temi quali l’amore, la depressione, l'ansia, l'alcolismo, il sesso ad ispirare piuttosto dei racconti di fantasia che il cantautore adopera spesso e volentieri per raggiungere punti di grande emotività.
Lo si evince nell’atmosfera che circonda Touch e la successiva June on the West Coast: l’arrangiamento minimale ci rimanda ai Bright Eyes più “folkeggianti”. E’ il turno di Pull My Hair, tra le più schizofreniche, nell’opera di Oberst, che anticipa A Poetic Retelling of an Unfortunate Seduction, traccia nella quale la voce e lo stato d’animo del cantautore piombano in una dimensione di inadeguatezza e di grande tristezza.

Mezz’ora di musica, secondo più, secondo meno. Musica di non facile impatto, in un full-lenght che vede in chiusura Tereza and Tomas, la cui durata supera i 25 minuti. E’ l’emblema di un Oberst a ragione definito dall’opinione pubblica come un piccolo genio del rock. Ispirata per l’appunto alla storia di Tereza e Tomas, protagonisti della novella dell’autore ceco Milan Kundera, intitolata The Unbearable Lightness of Being, è il suggello ad una prestazione (in termini compositivi e di esecuzione) già di per sè brillante. Il pianoforte e la chitarra si stagliano, prima di lasciare il posto ad un susseguirsi di note disordinate, che ci mostrano anche il Conor Oberst più incline alla sperimentazione.
C’è di tutto, insomma, in questo Letting Off The Happiness che incorona Bright Eyes a emblema di un genere da troppi sfruttato a fini quasi esclusivamente utilitaristici e da pochi vissuto con passione e dedizione. Questo è il punto di partenza, in cui il disincanto e la freschezza, seppur nei tratti talvolta senza regole di Oberst sono elementi essenziali e decisivi nella crescita artistica e musicale, ma non solo, del nome Bright Eyes.
Pietra miliare? Può darsi; quanto ci sentiamo di affermare senza mezze misure è che questo Letting Off The Happiness è merce rara.


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