Voto: 
8.9 / 10
Autore: 
Stefano Pentassuglia
Genere: 
Etichetta: 
Metal Blade Records
Anno: 
1997
Line-Up: 

- Tomas - vocals
- Anders - guitar
- Kalle - bass
- Niklas - guitar
- Jejo - drums

Tracklist: 

1   Valid 3:15
2   God Forbid Me 2:42
3   Deadheads 3:53
4   Painted Face 2:30
5   Clot 3:20
6   Centre 2:54
7   Replentish The Empty 2:16
8   Presume The Forgotten 8:43
9   Bloodlines 1:36
10   In My Realm 3:01
11   Divine 2:47

Breach

It's Me God

Sono pochi gli amanti del post-hardcore che non amano i Breach, seminale band proveniente dalla fredda Svezia. Eppure, per qualche misterioso motivo, quella fama che meritavano non la ottennero, se non mai del tutto. Erano degli "estranei", dei "ribelli". Relegati ad essere per sempre un gruppo di “culto”, legati alle loro produzioni stile vecchio scantinato ammuffito, amati da chi è in grado di amarli. Perché così fa decisamente più di tendenza, no? Avere un gruppo che rimane lì, per pochi intimi, già, siamo d’ accordo.
Però sopraggiunge un po' di rammarico al pensiero che un gruppo del genere non sia conosciuto da tutti quelli che possono apprezzarlo (e soprattutto al pensiero che ora non potrà più dire nulla: si sono sciolti nel 2002, anche se cinque anni dopo hanno condutto un presumibilmente ultimo live a Stoccolma al termine del quale distrussero i loro strumenti...).

Dal momento stesso in cui decisero di sciogliersi, i Breach provocarono un vuoto che non sarà più colmabile nel mondo del nuovo hardcore, perché tanti hanno appreso da loro, tanti gruppi che oggi ci sembrano magnifici, certo, ma che per quanto si sforzino non riescono ad emulare la grandezza dei maestri. E proprio questo ci deve far riflettere su che realtà musicale fossero stati, sull’importanza che davvero ebbero i Breach, i “fratellini minori” dei grandissimi Refused.

Nonostante tutta la loro discografia meriti, dall'EP d'esordio Outlines al terremoto sonoro del finale Kollapse, passando per il fondamentale Venom, a svettare in particolare è il loro secondo full-lenght, It's Me God, fondamentalmente per due ragioni: la prima è che non ha avuto una grande fortuna mediatica. Spesso capita che certi dischi diventino popolari mentre altri ben più meritevoli ricevono scarsa considerazione da parte della critica (che dovrebbe scriverne con fiumi d'inchiostro e che invece li lascia con poche righe) e della maggior parte degli ascoltatori anche italiani; l'esempio per eccellenza nella storia del rock sono i Velvet Underground, dei quali ormai tutti conoscono lo scarso successo iniziale e la successiva "riscoperta".
La seconda ragione è di carattere tecnico/ideologico: It’s Me God è, con tutta probabilità, l’album più rappresentativo dei Breach, anche più dell'acclamato Kollapse (che certo rimane un ottimo album, ma forse un pelino più di maniera, e con un po' troppi interludi e meno "sostanza hardcore").

Il titolo mette subito le carte in tavola: "Dio sono io; adesso vi spieghiamo NOI come si fa". Ed essi lo fanno, ci spiegano davvero come deve suonare un disco post-hardcore nel modo più puro e coerente possibile, e visto che ci stiamo, all’ importanza tecnica e storica che può avere un album del genere (ne ha influenzati di gruppi), essi pensano bene di affiancargli una validità artistica oltre misura che permette di definire It’s Me God come un autentico capolavoro.
In che senso? Nel senso che basta ascoltare i primi attimi di Valid per capirlo. Lo stile dei Breach cattura totalmente grazie alle distorsioni sinusoidali, alle tentazioni noise, alle contorsioni apocalittiche, all’attesa che cresce e si spegne in spasmodica perdita allucinante di ogni punto di riferimento: solo l'ascoltatore e un muro di suoni in cui ci si perde e da cui non si può più tornare indietro.
E la si riascolta decine e decine di volte, cercando un qualcosa, un come, un perché, cercando di capire dove sia scaturita quella scintilla geniale che dona a una canzone come Valid tutta quella carica eversiva che le esce violenta e travolge, travolge tutti i sentimenti con un impeto pesantissimo. Ma poi ci si rinuncia e la si accetta così com'è. Non puoi capirla; i Breach non sono fatti per essere capiti, sono fatti per smarrirsi nella loro musica e nella loro potenza, senza cercare di disassemblarla per razionalizzarne i contenuti. Ma tanto basta.
E lo stesso vale per una canzone come Bloodlines, dalle distorsioni sature e grasse, dal basso cinico e calcolatore. E poi la ricerca angosciosa che cresce e si perde nel nulla di God Forbid Me, e le architetture sfalsate e schizofreniche di Deadheads, o la violenza fredda e carnosa, tutta intrisa di spirito noise, di Painted Face e così via. E’ inutile descrivere un lavoro simile: bisogna provarlo.
Sarà il vostro animo a descriverlo nella maniera migliore, quello del sottoscritto lo ha fatto e ve ne ho dato uno scorcio, il vostro lo farà per voi.

Non vi consiglio di lasciare un’opera del genere inascoltata; le vostre orecchie potrebbero non perdonarvelo.

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