Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Etichetta: 
Kranky
Anno: 
1996
Line-Up: 

- Martha Schwendener - basso, tastiere, voce
- Lawrence Chandler - programmazione, chitarra, tastiere, voce
- Wayne Magruder - batteria

Tracklist: 

1. Beat
2. Empty Words
3. Without Stopping
4. Under the Sun
5. Fear of Flying
6. Looped
7. Black Light
8. Inside Out
9. Coming Down
10. Post Script

Bowery Electric

Beat

Per il loro secondo disco i Bowery Electric compiono un lavoro di personalizzazione, ricerca sonora e raffinazione del loro stile che mostra risultati più soddisfacenti che nel debutto omonimo.
La loro cura per le effettistiche atmosferiche e dissonanti da shoegazers evolve l'approccio ammorbidendo le distorsioni noise e i riverberi drone per conferire maggiore spessore al lato onirico della musica, espandendo così l'elemento derivato da un'attitudine a volte più "ambientale" e toccante occasionalmente vertici ipnotici da space-rock nella loro fumosità. Vocalmente permane il ruolo secondario del lato canoro, in funzione di sommessa nenia d'accompagnamento alle atmosfere col fine di catalizzarne l'evocatività.
I bassi sono molto incisivi, spaziando dal dub al dream pop in un costante vortice di sensazioni e umori.
Contemporaneamente si aggiunge una matrice elettronica che trova espressione nella drum-machine che compare in alcuni dei primi pezzi (nei quali si sperimenta un abbozzo di ibrido fra shoegazing e trip hop) e in certi piccoli spruzzi effettistici e campionamenti qua e là a fare da contorno; seppur accompagnati lo stesso da strumenti acustici, divengono espressione di una ricerca sonora e di un costante aggiornamento stilistico portati avanti tramite l'intreccio di segnali digitali e analogici operato dalla verve creativa degli americani.

Le sonorità si fanno così più soffici e sfumate, maggiormente caratterizzate ma anche più incisive, dipingendo oscuri scenari moderni dall'avvolgente espressività come dal perenne sottofondo di malinconia che pervade i brani, in alternanza notturni e fascinanti, depressivi o inquietanti.
Infine il duo newyorkese pone maggior cura nelle composizioni e negli arrangiamenti, cercando di minimizzare il problema che li accompagnava, cioè quello di dilatare troppo le componenti delle canzoni e di incappare nella prolissa stasi che affliggeva il precedente disco d'esordio - pur inciampando ancora nella ripetitività in alcuni frangenti, ma con più freschezza musicale, minore monotonia compositiva e più caratterizzazione sonora.
Tutto ciò conferisce un aspetto rinfrescato e molto più ispirato alla musica dei Bowery Electric.

La titletrack iniziale Beat introduce degli spediti breakbeats di stampo hip hop/trip hop che si oppongono all'atmosfera alienante generata dagli inquietanti riempimenti tastieristici sullo sfondo e vengono accompagnate da un ripetuto giro di basso dub.
La seconda canzone, Empty Words, ritorna invece su terreni più noise/shoegazing dove chitarre effettate e riverberate ricreano scenari onirici scanditi dalla batteria sulle canoniche coordinate di gruppi come Seefeel o My Bloody Valentine.
Without Stopping è invece praticamente trip hop grazie al ritmo downtempo e al senso di inquietudine che si nasconde dietro le note, mentre i bassi mantengono intatto il legame con gli shoegazers coniugando due approcci e due attitudini differenti.
Under the Sun è un breve intermezzo ambient/drone in cui un gelido ma incisivo basso ripetuto emerge dagli effetti rumoristici di sfondo.
Fear of Flying riprende la drum-machine utilizzata per creare dei beats sintetici incalzanti e coinvolgenti, la cui ripetizione ossessiva esaspera lo straniamento dei droni chitarristici psichedelici dall'andamento emotivo sinuoso ma avvolgente. Ne risulta uno dei pezzi più ipnotici e catturanti - è stato scelto come singolo iniziale d'altronde.
Un'ulteriore parentesi ambient, questa volta più sfumata, fredda ed evanescente, con Looped prima della psichedelia onirica dei delay e delle dilatazioni psichedeliche di Black Light, che verso la conclusione diviene maggiormente ossessiva e angosciante.
Inside out è un dolce intreccio di bassi elastici, batteria leggera ma spedita e riverberi sognanti, con un retrogusto malinconico ormai classico, in una sorta di versione stemperata delle sonorità dell'esordio.
Coming Down prosegue con i soliti riverberi drone/noise modellati sui tratti effettati e dissonanti dello shoegaze, senza sorprese.
La conclusiva Postscript è una lunga e minimalista traccia di ambient "dronizzato" dove al ripetitivo suono principale si vanno lentamente aggiungendosi tenui altre note per una sorta di claustrofobico soundscape nichilista; il pezzo risulta efficace nel costruire atmosfere desolate ma viene penalizzato da un eccessivo tirar la solfa per le lunghe che appiattisce il tutto.

Il risultato finale è in definitiva un album molto personale, ricercato ed originale, a volte afflitto ancora da un'eccessiva ripetitività che suona più come un esercizio di stile che un reale catalizzatore dei climax atmosferici ed emozionali, ma ugualmente beneficitario di un suo stile etereo ma solenne, mesmerizzante ma stabile e diretto, "in stasi" atmosferica ma dinamico.
Un disco molto più variegato, complesso e stratificato del precedente, nonché scorrevolissimo e naturale nel suo essere ora più estatico, ora più angosciante. E sempre carico di fascino.

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