Voto: 
4.2 / 10
Autore: 
Dead
Genere: 
Etichetta: 
Mercury
Anno: 
2000
Line-Up: 

- Jon Bon Jovi - voce e chitarra ritmica
- Ritchie Sambora - chitarra solista
- David Brian - tastiere
- Tico Torres - batteria
- Hugh McDonald - basso


Tracklist: 


1. It's my Life
2. Say it isn't so
3. Thank you for loving me
4. Two Story town
5. Next 100 years
6. Just older
7. Mystery train
8. Save the World
9. Captain Crash and the beuty Queen from Mars
10. She's a mystery
11. I got the Girl
12. One wild night
13. I could make a living out a lovin' you

Bon Jovi

Crush

A quattro anni dall'ultimo These Days, i Bon Jovi ritornano più convinti che mai con un disco che in quella torrida estate del 2000 sconvolse molti teen-agers.
Il full lenght trainato dal singolo It's My Life, nel breve tempo fa breccia nei cuori di milioni di ragazzi che, eccitati dalla carica esplosiva del pezzo, altro non fanno che aiutare i quattro del New Jersey a ricalcare la cresta dell'onda come ormai da molti anni non accadeva.
Il ritorno in auge della band sembra essere ormai consolidato e così inizia l'immenso Crush Tour, dal quale verrà tratto anche un DVD.

I potenziali singoli di questo Crush sono ben quattro, e tutti accompagnati da video clip d'effetto furono per molto tempo in heavy rotetion su stazioni radio e programmi televisivi, in primis l'onnipresente MTV.
Inutile negare che il bel faccino del singer Jon Bon Jovi ha giovato e non poco al successo della band, e la sua dolce voce romantica coadiuvata dal sofferto chitarrismo dell'ottimo Ritchie Sambora è sicuramente il trade mark della band, che a circa 20 anni dall'esordio riesce ancora ad emozionare le platee colme, il più delle volte, da innamoratissime adolescenti.
E così partiti con un fusion di rock'n'roll, rhythm and blues, pop e street rock la band nel corso degli anni ha sempre più strizzato l'occhio a power ballads dall'impatto passionale e al contempo (questo il dazio) decisamente pop, accantonando cosi inesorabilmente quel piacevolte sound stradaiolo capace di ravvivare party giovanili, o serate in auto su lunghe e noiose autostrade.

Nel 2000 però la line up del sex symbol Jon ci offre un album che per il 15% è d'impatto, molto rockeggiante e comunque energico, mentre per il restante 85% è noiosamente farcito di pseudo ballads, tutte similissime tra loro quasi da trovare difficoltà nel differenziarle l'una dall'altra, con i soliti testi abbastanza scontati, e con le solite, seppur sempre efficacissime, schitarrate del fido Ritchie che in questo album ha più volte il compito di sorreggere la voce del "passionale" Jon con chitarre acustiche o comunque molto melodiche, che a lungo andare purtroppo rischiano seriamente di far addormentare l'ascoltatore.
L'album come avrete capito nella sua completezza non riesce a farsi piacere riuscendo addirittura nell'arduo compito di infastidire le malcapitate orecchie; sorretto dal potente singolo It's My Life con cui si apre l'album, segue una piacevole rock song, tale Say it isn't so, carica del buon lavoro di chitarra e della sempre bella voce di Jon, ma a questo punto però inizia il tortuoso "compito" di dedicarsi al resto del disco.

La terza traccia è una sdolcinatissima ballata, Thank you for loving me, terzo singolo del disco e che proprio dal primo all'ultimo secondo non fa altro che annoiare; ulteriore tentativo di bissare quel piccolo capolavoro che fu Always, ma come volevasi dimostrare, fallito. Sebbene però il disco fino ad ora non abbia avuto particolari pecche, da qui in poi riuscirà a cadere addirittura in un'indifferenza pesantissima lunga ben 35 minuti: solo alla dodicesima traccia che il disco sembra risvegliarsi dal quell'orrendo incubo di piatto soft rock da classifica cui ci aveva costretto anche a noi. Il pezzo da beatificare è One Wild Night, ultimo singolo del "fortunato" album che nei suoi quattro minuti sembra voglia farci tuffare un pò indietro nel passato quando i Bon Jovi erano ancora una band da party chiassoso.
Rimane una sola traccia ovvero la conclusiva, che fortunatamente rientra in quel misero 15% di cui sopra e che per lo meno ci da la forza di rimanere svegli per poter estrarre dal lettore il disco e riporlo nell'apposita custodia.

Probabilmente una occasione sfumata; tredici pezzi che sarebbero potuti essere otto, e che con un piccolo sforzo avrebbero potuto ricalcare lo standard del fortunato singolo apripista in modo da rendere questo cd un piacevole ascolto. Ma sappiamo che non è così, e siccome sarebbe del tutto ingiusto valutare un album per i suoi quattro singoli non posso che sentenziare questo album che al tempo lo ammetto riuscì ad ingannare anche me facendomi credere che acquistandolo ne sarebbe valsa la pena.

Gli arrangiamenti ci sono, gli assoli melodici ma incisivi anche, buona anche la sezione ritmica e la voce strappalacrime di Jon che al momento giusto sa anche graffiare, ma quel che realmente manca sono proprio i pezzi giusti, o meglio il songwriting più tagliente che sa coinvolgere.
La band è certamente valida e lo si capisce, ma in questa occasione almeno a livello musicale cade miseramente. Senza ombra di dubbio il disco al tempo riscosse un buon successo ai botteghini, e se cercate un album di tredici pezzi con solo quattro di questi da salvare, allora Crush fa per voi; ma se cercate un sano album rock allontanatevi allora da questa "opera" e rivolgetevi altrove, magari a quei dischi composti circa 20 anni fa da queste stesse mani che oggi ci rifilano questo flop.
Decisamente off.

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