Voto: 
8.2 / 10
Autore: 
Vincenzo Ticli
Etichetta: 
Warp Records
Anno: 
2002
Line-Up: 

Mike Sandison, Marcus Eoin: Instruments, Writing, Producing

Tracklist: 

1. Ready Let’s Go
2. Music Is Math
3. Beware the Friendly Strangers
4. Gyroscope
5. Dandelion
6. Sunshine Recorders
7. In the Annexe
8. Julie and the Candy
9. The Smallest Weird Number
10. 1969
11. Energy Warning
12. The Beach at Redpoint
13. Opening the Mouth
14. Alpha and Omega
15. I Saw Drones
16. The Devil Is in the Details
17. A Is to B as B Is to C
18. Over the Horizon Radar
19. Dawn Chorus
20. Diving Station
21. You Could Feel the Sky
22. Corsair
23. Magic Window
 

Boards of Canada

Geogaddi

Gran parte della musica elettronica odierna deve molto ai Boards of Canada: tra i più importanti rappresentanti dell’Intelligent Dance Music nascente tra un secolo e l’altro, hanno da subito incarnato l’anima più rarefatta e melodica del genere, creando uno stile inconfondibile da cui hanno preso spunto moltissimi altri artisti. Del 2002 è Geogaddi, un album di 23 brani che rappresenta a tutti gli effetti il manifesto di un personalissimo stile anticipato in precedenza soprattutto in Music Has the Right to Children .

Una cosa che colpisce subito l’ascoltatore è la maniacale cura delle sonorità, tra richiami “vintage” e un affollarsi di rumori, disturbi e distorsioni, come se la musica provenisse da una vecchia radio malmessa, tanto che spesso sembra quasi che una trasmissione si intrometta in un’altra, creando un mix straniante e apparentemente casuale ma che in realtà realizza una melodia che stupisce per la sua precisione. È questo il caso di Gyroscope, in cui pacati droni di tastiere si intrecciano a incerte registrazioni vocali, mentre cascate di battiti martellano su ronzii disturbati. La formula è simile un po’ per tutti i pezzi, basti pensare a Sunshine Recorders, in cui sommesse percussioni elettroniche compiono brevi acrobazie su una melodia sintetica costituita da una base ripetitiva, attorno a cui si avvolgono inaspettate e sinuose linee di bassi e sintetizzatori. Con queste canzoni nasce e si sviluppa un tipo di ambient arioso, quasi marcatamente geografico per la sua capacità di suscitare non soltanto sentimenti e atmosfere, ma veri e propri paesaggi, scenari. È questo il caso di The Beach at Redpoint, dal titolo, come al solito enigmatico, che fa pensare ad una spiaggia al tramonto e che, se interpretato in questo modo, sembra adeguarsi perfettamente a ciò che la musica vuole architettare:  gli archi sono il vento e lo spazio estremo della spiaggia, i granelli di sabbia si affollano sottoforma di percussioni vagamente orientali, il mare cangiante e irrequieto è nei rumori e nelle voci campionate e distorte, il rosso sanguigno del tramonto nel movimento improvviso e discreto di lontani tocchi di flauto. Allo stesso modo, in You Could Feel the Sky l’enormità impetuosa e impalpabile del cielo è suggerita dalla vastità dei suoni che si dispiegano con lentezza e, alla fine del brano, con la solennità di una voce che sembra quella di un intenso muezzin.

Sono presenti anche pezzi dal ritmo più marcato: Music is Math, il pezzo più riuscito dell’album, si impernia su eterei tocchi di tastiera che si susseguono accoppiandosi a voci distorte che fungono da strumento, mentre i beats dall’impianto quasi industrial ma dalle sonorità appena spigolose definiscono un ritmo incalzante, implacabile fino alla fine. Non è possibile dire se a dominare siano le percussioni o le melodie: ora spiccano le une, ora le altre, in una gara infinita scandita da una frase pronunciata con freddezza, che non fa altro che confermare quasi profeticamente l’assetto dell’intero album: “the past inside the present”, il passato dentro il presente, ad indicare che con Geogaddi e i suoi suoni quello che i Boards of Canada vogliono fare è recuperare, riattualizzare e reinterpretare sonorità e sperimentazioni che appartengono al passato.
Il passato sarà sempre parte del presente, così come conferma 1969, uno dei pezzi più orecchiabili costituito da ritmi scanditi e da nebulose cascate sonore su cui si intarsiano voci d’androide che pronunciano frasi enigmatiche. Dawn Chorus è un brano luminoso, cadenzato e intenso come un brano di Moby ma, se possibile, più efficace nell’evocare visioni e paesaggi.
In un album composto da 23 pezzi, risulta immediato che la variabilità di ciò che si presenta all’orecchio è molta: si va da pezzi più lunghi, vere e proprie canzoni, a brevi brani d’intermezzo, alcuni più riusciti come l’inquietante Beware the Friendly Strangers, l’introversa In the Annexe oppure la cangiante A Is to B as B Is to C, altri meno riusciti come Dandelion  e Energy Warning, dalle belle sonorità ma piuttosto ripetitive. La ripetitività di determinate soluzioni melodiche è un po’ uno dei cardini su cui poggia la musica ambient, e molto spesso risulta un parametro difficile da gestire efficacemente. In Geogaddi troviamo canzoni ripetitive come Julie and the Candy che, per il loro essere irresistibili, reggono bene lo stratificarsi all’infinito di un unico riff di tastiere e archi mentre altre, come Alpha and Omega, risultano difficilmente sopportabili nonostante la bellezza del fraseggio musicale, complice magari una lunghezza che finisce per essere eccessiva.

Con Geogaddi non assistiamo ad una rivoluzione, quanto ad una creazione: viene  realizzato uno stile che mira a stimolare l’immaginazione, l’emotività dell’ascoltatore che può in ogni momento interpretare ciascun pezzo secondo la propria sensibilità. In questo modo la potenza di un’opera d’arte, soprattutto dell’arte evocativa per eccellenza che è la musica, viene amplificata al massimo con un’efficacia che lascia sbalorditi. Questa cifra stilistica, caratteristica dei Boards of Canada, è stata fonte di ispirazione per molti altri artisti che hanno fatto della musica ambient il loro campo d’elezione, ma raramente si è saputa ricreare l’atmosfera genuina, quasi “naturale” che caratterizza i suoni di quest’album. Un album che definire essenziale è probabilmente eccessivo, ma sicuramente non incomprensibile.

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