Voto: 
7.7 / 10
Autore: 
Marco Lorenzi
Genere: 
Etichetta: 
Vice Records
Anno: 
2007
Line-Up: 

- Kele Okereke – voce, chitarra
- Russell Lissack – chitarra
- Gordon Moakes – basso
- Matt Tong - batteria

Tracklist: 

1. Song For Clay (Disappear Here) (04:49)
2. Hunting For Witches (03:31)
3. Waiting For The 7.18 (04:17)
4. The Prayer (03:45)
5. Uniform (05:32)
6. On (04:47)
7. Where Is home (03:34)
8. Kreuzberg (05:23)
9. I Still Remember (04:27)
10. Sunday (04:59)
11. SRXT (04:51)

Bloc Party

A Weekend in the City

Paladini del Post-Punk revival, acclamati a gran voce come rivelazione del 2005 con il loro Silent Alarm, i Bloc Party sono tornati. E si tratta un ritorno in grande stile, con il secondo full-lenght che senza dubbio li incoronerà come una delle band da ricordare nel 2007.
A Weekend In The City è un pugno allo stomaco, ed è forse ciò che vogliono questi quattro ragazzacci. Il cambiamento è bello e servito. Uno scoglio per tanti, troppi musicisti e frontman acclamati a déi giunti sulla terra dopo l’esordio. Uno scoglio che i Bloc Party hanno superato: la loro evoluzione è colma di stile ed eleganza. Una nuova strada è stata presa, fregandosene di tutto e di tutto, senza sputtanarsi né tanto meno vendersi al miglior offerente.

Questo disco colpisce pian piano, arriva a farci capire passo dopo passo il messaggio che Okereke e soci vogliono inviarci. Lo fanno con una prima parte da rimanere senza fiato, in cui la pioggia di suoni e percussioni ci fa perdere l’equilibrio. Segue un secondo tempo fatto di magia, di melodie estasianti, di chitarre distorte che ci fanno ricordare qualche cosa che le radio di almeno un ventennio fa trasmettevano allora senza sosta. Non ci sono influenze, anche se viene facile paragonare i Bloc Party a qualche mostro sacro della musica del recente passato (Joy Division?) o, perché no, dei nostri tempi (Radiohead? U2?).
Sono Bloc Party, punto e basta. E sanno il fatto loro, credeteci.
Venti minuti buoni di pura schizofrenia musicale fanno aumentare le pulsazioni. Viene voglia di mettersi a saltare, immaginando una nottata in un pub sfasciato di Londra, dove la puzza ed il caldo soffocante fanno un tutt’uno con la rabbia della batteria di Matt Tong, che suona ritmi forsennati. L’incipit di Song For Clay (Disappear Here) ci fa assaggiare il gusto che la band ha ideato in questo A Weekend in The City, Waiting for 7.18 incanta con l'innesto di parti elettroniche, mentre The Prayer si erge fin dalle prime battute a disco ideale per i piatti di qualche dj della scena underground dei club londinesi.

Uniform è lo spartiacque, essenziale. Emerge la chitarra di Lissack, che si reinventa in mille maniere, prima di prendere in mano le redini e guidare essa stessa il cavallo imbizzarrito che prende il nome di Bloc Party. On è un mix tanto geniale quanto sregolato di melodia e ritmo, in cui gli archi fanno da sfondo alla voce di Okereke. Con Where is Home i Bloc Party si mostrano in un’istantanea che, più d’ogni altra, ce li fa vedere nel pieno della loro evoluzione. Un processo partito con Silent Alarm, che non finirà qui, crediamo. La conferma la troviamo con la traccia successiva, la sognante Kreuzberg, in cui la band mostra con orgoglio ed un pizzico di disincato un lato di riflessione che raramente era stato riscontrato in loro. Anche l’altrettanto bella I Still Remember ci fa piombare all’improvviso in un quadro in cui, passata la tempesta martellante della prima parte del disco, è facile rilassarsi e lasciarsi trasportare sotto un cielo che pian piano vede il dissolversi delle nuvole cariche di elettricità.E’ la chitarra di Lissack, dicevamo, ad emergere. Il suo suono è lontano, quasi soffocato. Ci ricorda ballate rock d’altri tempi, ci riporta ad una dimensione diversa, per i Bloc Party. Ma che, forse, proprio per questo li rende unici nel loro modo d’essere. Degne di nota anche le parole che impreziosiscono la ballata: And I can see our days are becoming nights / I could feel your heartbeat across the grass / We should have run / I would go with you anywhere / I should have kissed you by the water.
Il full-length termina con Sunday, altro lento che si consuma in atmosfere da film, che anticipa il colpo di coda di questo A Weekend in The City. Si chiude con SRXT, ultimo spezzone di un susseguirsi di immagini dall’andamento altalenante, che viene voglia di rivedere (riascoltare) all’istante.

Indie Rock è un’etichetta che forse va un po’ stretta, ai Bloc Party di oggi. Il loro suono è un qualche cosa che può diventare inconfondibile nel corso del tempo. Perché questo secondo album rappresenta, nella sua essenzialità e nella ventata di novità, un trampolino di lancio ideale per il futuro della band dell’Essex.
In cinque anni di lavoro, Okereke e compagni di strada ne hanno fatta parecchia. Le folle sono al loro cospetto perché, si sa, è la freschezza e la spontaneità ciò che ammalia i giovani fans. Applaudiamoli, dunque, perchè il loro impegno si distingue nella massa. Nel contempo preferiamo evitare di caricarli di pericolose responsabilità. “Tutti paiono scrive canzoni su come sia cool apparire carini sul dancefloor. Il nostro proposito, invece, è di criticare la società”, sentenziò Okereke qualche giorno prima dell'uscita del disco, intervistato da NME. L'ideale, per continuare ad essere Bloc Party.

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