Voto: 
6.8 / 10
Autore: 
Matthias Stepancich
Etichetta: 
I AM: WOLFPACK
Anno: 
2007
Line-Up: 

- Wes Borland - voce, chitarra, basso, tastiere, programmazione
- Danny Lohner - chitarra, basso, tastiere, programmazione
- Josh Eustis - tastiere, programmazione
- Josh Freese - batteria, percussioni

Guests:
- Sonny Moore - voce
- Carina Round - voce
- Sam Rivers - basso
- Johnette Napolitano - voce
 

Tracklist: 

1. Mesopotamia (04:27)
2. Animal (04:08)
3. Lie (04:19)
4. Coward (04:36)
5. Cruel Melody (05:00)
6. The Mark (03:13)
7. I Have a Need (04:24)
8. 4 Walls (03:51)
9. Stop a Bullet (03:37)
10. One of Yours(04:51)
11. New Hunger (05:24)
12. I Am Where it Takes Me (06:09)
13. Iodine Sky (08:30)

Black Light Burns

Cruel Melody

Cruel Melody è l'esordio (atteso da circa due anni) del supergruppo Black Light Burns, progetto partorito dalla mente di Wes Borland, celebre principalmente per la sua carriera nei Limp Bizkit, ma coinvolto negli anni anche in svariati altri progetti (Big Dumb Face, Eat the Day, The Damning Well, membro onorario nei From First To Last).
Nei Black Light Burns lo affiancano Danny Lohner (famoso per lavorare spesso con i Nine Inch Nails), Josh Eustis (dei Telefon Tel Aviv) e l'onnipresente Josh Freese (ovviamente al drumming).
Per il primo disco Cruel Melody, inoltre, Borland rivisita e raccoglie le composizioni migliori scritte negli anni (e non rilasciate) per i suoi svariati sopraccitati side-projects.
La superband di polistrumentisti sulla carta dovrebbe quindi dare un risultato eccezionale, ma nella pratica ciò non avviene.

In realtà l'anima del gruppo è spezzata, precisamente tra una base alternative metal (la chitarra di Borland), una voglia di industrial alla Reznor (i contributi di Lohner), e una ricerca del raffinato a tutti i costi, idea positiva ma che in più di un episodio porta la band verso lidi gothic-rock o ambient a sé stanti, senza connessione con il resto della proposta musicale.
Gli ingranaggi sono ben oliati, non c'è che dire, la produzione è sopraffina e il sound (curato principalmente da Eustis) eccellente, ma a livello di songwriting la "macchina" sembra un mero assemblaggio di influenze riconoscibilissime, senza una vera personalità. Certo, un motivo è sicuramente il fatto che Borland abbia raccolto in un unico lavoro pezzi scritti per band (e quindi per "stili") differenti, ma non convince a sufficienza.

L'opener Mesopotamia suona potente ma è costruita seguendo i dettami del robot-rock alla Josh Homme, quindi sembra uscita pari pari da un disco dei Queens of the Stone Age; decisamente più incisive invece le successive Animal (compromesso tra Trent Reznor e un rock alternativo melodico, pungente e fresco) e Lie (più pesante e arrabbiata, alla Rob Zombie); Coward spazia verso lidi più dilatati, ed è impreziosita da un assolo breve ma memorabile; la title-track cerca di essere un po' un riassunto dei vari stili della band (battito sintetico, chorus smorzato, poi piega esplosiva; il tutto con i contributi di Carina Round alla voce).
E qui termina la prima parte del disco, che è anche la più interessante.
Le successive tracce sono banali e modaiole a dir poco, con il pastone di The Mark (chitarre alla Limp Bizkit e melodie vocali emo), I Have a Need (ancora emo, bello trendy), 4 Walls (parte come un'imitazione dei Nine Inch Nails e poi vira ancora sull'emo più scontato), Stop a Bullet (aborto elettro-noise che vorrebbe assomigliare ai Filter).
La chiusura invece sale di parecchi gradini qualitativi con l'ottimo crossover melodico punk-numetal-industrial-pop di One of Yours, l'esperimento soffuso di New Hunger (industrial-elettro-ambient come nei migliori Team Sleep), e ancora un altro episodio elettronico rilfessivo con I Am Where It Takes Me (in cui le guest vocals di Johnette Napolitano si ritagliano quasi una dimensione new-age). Il termine vero e proprio è affidato però a Iodine Sky, sorta di colonna sonora strumentale a drammi arcadico-industriali (forse ridondante, perché 8 minuti non erano necessari, ma certamente suggestiva).

Un peccato che quindi la band non abbia ancora una propria personalità e sia tanto divisa tra anime differenti (che, invece di confluire assieme come succede nella prima parte del disco, quasi sempre divergono e si combattono, e purtroppo spesso -vedesi la parte centrale- vince sulle altre l'anima più becera), ma forse l'esperienza in futuro sopperirà al difetto, in fondo non stiamo parlando certo degli ultimi della classe.
Certo però è che, dopo un tale battage, da un chitarrista estremamente creativo come Borland ci si aspettava qualcosa di più spiazzante, non un disco che per una buona metà suona piatto e già sentito.
Una nota a parte è invece da dedicare allo stile vocale di Borland, che (coerentemente al disco) risulta essere una spugna di citazioni differenti: dai Finch a Rob Zombie, da Fred Durst a Mick Jagger, dagli Static-X ai Ministry.
 

NUOVE USCITE
Filastine & Nova
Post World Industries
Montauk
Labellascheggia
Paolo Spaccamonti & Ramon Moro
Dunque - Superbudda
Brucianuvole
Autoprod.
Crampo Eighteen
Autoprod..
BeWider
Autoprod..
Disemballerina
Minotauro
Accesso utente