Voto: 
8.3 / 10
Autore: 
Paola Andriulo
Genere: 
Etichetta: 
Crucial Blast Records
Anno: 
2008
Line-Up: 

:
- Erik Trammell - chitarra
- Tom Glose - voce
- Jeff Watson - batteria
- Don Capuano - basso


Tracklist: 

:
1. My Last Shred Of Decency
2. Hospital
3. Pig Crazy
4. The Brazen Bull 3
5. Stab
6. She pulled Machete
7. Brine
8. The Brazen Bull 2
9. Hold My Hand
10. Winter Formal

Black Elk

Always A Six, Never A Nine

Always A Six, Never A Nine è il secondo tentativo ben riuscito dei Black Elk, band dell’Oregon che nel 2006 aveva sfornato il primo lavoro omonimo, già un ottimo biglietto da visita.
I Black Elk non vogliono colpire per il loro sound orecchiabile: tutt’altro. Lo avevano già dimostrato tre anni fa col loro primo album, un buon esempio di come si possa prendere spunto da band spettacolari e originali come i Jesus Lizard, o i Black Flag, o ancora gli Helmet. Quello che i Black Elk creano è un sound che risente piacevolmente dell’influenza di band come le succitate, un’influenza che però non si trasforma mai in semplice e povera copia, ma si traduce in un prodotto originale che merita parecchia attenzione.

Dopo l’omonimo, i Black Elk nel 2008 ci hanno regalato un secondo lavoro al quale è difficile dare un giudizio che non sia positivo. Always A Six, Never A Nine è un energico susseguirsi di dieci brani che costituiscono un lavoro finale ben fatto su tutti i fronti.
Partiamo dal primo pezzo, The last shred of decency: la chitarra di Eric Trammell apre il tutto, ed è un personaggio importante di tutto il brano, accompagnata da strumenti che ben si legano ad essa, così come la voce, che fin dall’inizio si dimostra flessibile e carismatica. Profumi di Jesus Lizard, dei nostri One Dimensional Man, ma anche altre piacevoli influenze come i maestri dell’Hardcore, i grandissimi Black Flag. Improvvisi cambi di tempi, voce graffiante e maniacale, suoni che si intersecano creando una confusione molto apprezzata dagli amanti del noise più schizofenico: questo è l’inizio di Always A Six, Never A Nine, e questo è anche il senso di tutto l’album, che con il secondo pezzo Hospital proietta in una dimensione caotica, se non fosse per un ritornello leggermente più catchy. Pig Crazy, terzo brano, sottolinea ancora una volta le influenze positive che band come i Jesus Lizard hanno avuto sui Black Elk, ma mette allo stesso tempo in risalto anche le capacità di composizione della formazione, nonchè la sontonia fra gli strumenti: interessanti sono le parti strumentali (non solo in questo brano) in cui gli strumenti si lasciano andare a momenti di pura follia rumorosa per poi riallacciarsi alla voce.

Dopo un brevissimo intermezzo si passa ad un altro pezzo davvero incisivo: Stab conferma davvero il suo nome, è una vera pugnalata lenta e dolorosa, ripetuta; tra l’altro l’immagine della pugnalata è a mio parere resa benissimo dal riff finale di chitarra che preannuncia la fine inevitabile. Always A Six, Never A Nine procede nello stesso intento iniziale di far decervellare il pubblico, che alla fine dell’album è piacevolmente colpito da questo secondo lavoro della band americana: un ottimo prodotto noise, un’ottima scuola di pensiero presa a modello (quella di band come Jesus Lizard e Black Flag in primis), la bravura nel creare un lavoro che non stanca perchè regala momenti incisivi, fervidi e originali.

Ci si sofferma volentieri su uno degli ultimi brani, Brine. Questo si stacca un po’dagli altri: ancora più paranoico e folle, più impazzito di tutti gli altri brani, sette minuti in cui l’orecchiabilità viene eliminata in un brano che non passa inosservato. Tirando le somme, si deve conferire un giudizio positivo di questo album, che merita davvero attenzione e più ascolti per essere realmente apprezzato. Se volete staccare dalla routine quotidiana, dedicatevi un po’ di tempo in compagnia di questi pazzi Black Elk.


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