Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
Francesco Tognozzi
Etichetta: 
Jagjaguwar
Anno: 
2010
Line-Up: 


- Jace Lasek - guitar, vocals
- Olga Goreas - bass, vocals
- Steve Raegele - guitar
- Nicole Lizée - keyboards, arrangements
- Richard White - guitar
- Kevin Laing - drums

Tracklist: 

1. Like The Ocean, Like The Innocent Pt. 1: The Ocean
2. Like The Ocean, Like The Innocent Pt. 2: The Innocent
3. Chicago Train
4. Albatross
5. Glass Printer
6. Land of Living Skies Pt. 1: The Land
7. Land of Living Skies Pt. 1: The Living Skies
8. And This Is What We Call Progress
9. Light up the Night
10. The Lonely Moan

Besnard Lakes, The

The Besnard Lakes Are the Roaring Night

Dopo un'assenza dagli studi di registrazione lunga quasi 3 anni, arriva sugli scaffali la nuova uscita della ditta a conduzione familiare che nel 2007 ha scosso il panorama musicale con l'acclamato The Besnard Lakes Are the Dark Horse, disco di confessione implicitamente pop ma attento a sonorità post punk e slo-core, e percorso da venature di prog e psichedelia. Il collettivo canadese, orchestrato sapientemente dai coniugi Jace Lasek e Olga Goreas, si è solidificato nel corso dei suoi quasi dieci anni di attività (ad oggi consta di sei elementi, che spesso diventano sette durante i tour - numeri da autentico ensemble), ha fortificato il suo ruggito con l'arrivo di un terzo chitarrista e sembra con l'esperienza aver trovato la sua identità più naturale: i Besnard Lakes ora hanno il proprio, genuino sound, dotato di una ragione e un intento, e questo permette loro di camminare sentieri mai battuti, varcare soglie inviolate senza il timore di perdere per strada il marchio di fabbrica acquisito scrupolosamente nel tempo. Il nuovo corso intrapreso scomoda nomi importanti quali punti di riferimento: Pink Floyd, Mazzy Star, Ride, Bark Psychosis e una buona dose di Beach Boys nella presenza ridondante di momenti corali, che a tratti sembrano rivivere in prima persona le glorie di Pet Sounds.
Il progetto ha compiuto un'ultieriore, deciso salto di qualità: l'ultimo vanto dell'ormai blasonata Jagjaguwar Records, The Besnard Lakes Are the Roaring Night, è un disco che suona pulito, fresco, cristallino, un trip elegante e vellutato che attinge allo shoegaze, al dream pop e alla psichedelia in maniera più consistente rispetto al passato, e si fonda su un'impostazione progressive che contraddistingue tutti i pezzi e si manifesta senza riserve in corposi incisi di rock strumentale, disseminati lungo l'intero corso dell'opera. Un ritorno tutt'altro che anonimo, che attesta la band su livelli di eccellenza e conferma ancora una volta quanto sia viva e instancabile la fucina artistica di Montréal, patria di gruppi che hanno primeggiato nella scena indie dell'ultimo ventennio, come Godspeed You! Black Emperor, A Silver Mt.Zion, Arcade Fire, Dears, Wolf Parade, nonché, prima ancora, dei leggendari e mai dimenticati Galaxie 500.

Registrato ai Breakglass Studios di proprietà del leader e fondatore Jace Lasek, con una mixing console tedesca originale del '68 (pare sia la stessa che ha partorito buona parte del monolitico Physical Graffiti degli Zeppelin), The Roaring Night mantiene fede al suo nome battagliero dalla prima all'ultima nota. Le fiamme si levano imponenti nell'oscurità non appena la testina si posa sul disco; suggestivi scenari dream-ambient si aprono agli occhi nell'ouverture di The Ocean: droni, vortici di distorsioni cosmiche e un organo sinistro fanno da preludio tematico alla monumentale The Innocent, lungo tripudio neo-prog mutevole e sospeso nel tempo, una nube soffusa di memorie lontane e sbiadite da cui il falsetto del cantante emerge di una limpidezza abbagliante, mentre squarci di vero rock si fanno sempre più invadenti nel corso dei sette minuti di durata. Chicago Train si apre su una sviolinata che dipinge tratti sognanti, ma a dominare sulla prima metà del pezzo sono cori evanescenti che sembrano prendere forma dal niente per poi dissolversi; quindi uno stacco netto - punto di forza nel repertorio dei Besnard Lakes - impone una repentina virata sulla strada del pop psichedelico, sotto la magistrale conduzione di una chitarra solenne e volitiva.
Albatross, singolo non proprio convenzionale che ha preceduto l'uscita dell'album, è il gioiello che da solo vale il prezzo del biglietto: un viaggio immaginoso che ibrida i Mazzy Star con i Sonic Youth dei momenti più abulici, evolvendo da una dimensione malata in un clima disteso e positivo che fa da cornice a un finale trionfante. Glass Printer è una perla di shoegaze primordiale, debitrice dei Ride quanto del lato più psych dei Jesus & Mary Chain e intrisa al contempo di un sapore meravigliosamente beatlesiano, un climax ascendente di fuochi e fragori capace di incendiare il cuore, e di accarezzare i sensi. Ma le tinte si fanno cupe nell'interludio strumentale The Land, tetra iniziazione all'ascesa psichedelica di The Living Skies, la quale si avvicina sulle prime battute ai territori dei contemporanei Gregor Samsa ma è destinata a uno sviluppo dai toni epici, guidato da un assolo di chitarra che forse indugia fin troppo per tramontare in un ending corale molto arrangiato, il quale risulta, a conti fatti, il primo momento finora veramente prescindibile del percorso. And This Is What We Call Progress erge una pulsazione marziale e implacabile su una landa sconfinata di atmosfere dreamy, con il canto sommesso di Jace Lasek a sopire, come sempre, le inclinazioni più ruvide della band. In Light Up the Night invece i suoni si ammorbidiscono e il passo si fa lento e sofferto, docili rintocchi di pianoforte e onirici fendenti di chitarra dipingono il crocevia ideale tra Low, Bark Psychosis e Spacemen 3; peccato solo per il cut del pezzo, che per una seconda volta va forse oltre la misura più consona per offrire un epilogo queeniano tutto cori e petulanti guitar solos. Ma i nostri possiedono una maestrìa che è degna solo dei grandi, pronta a mettere a tacere ogni nota di biasimo con la splendida chiusura di The Lonely Moan, una litania dimessa, affidata all'ammaliante voce della Goreas, capace di conciliare il lamento di un moog con accordi vagamente funky sotto la presenza incombente di spiriti che aleggiano intonando il loro canto: l'ultimo, piccolo capolavoro di un sogno dal quale non vorremmo mai svegliarci.

The Besnard Lakes Are the Roaring Night è un cammino di seducente raffinatezza, un caleidoscopio di immagini dalle tinte più disparate che si rincorrono senza tregua in un continuo divenire d'impeto e grazia. E' un traguardo raggiunto con orgoglio, costanza, umiltà, ma anche un punto di partenza per una band che - abbiamo ormai tutto l'ottimismo per crederlo - tornerà presto a incantarci ancora. Non si sono inventati niente, gli sposi del Québec e i loro compagni d'avventura, approcciano la materia in modo molto classico, non hanno il timore di seminare sulla loro strada tracce da cui si può facilmente risalire ad illustri precursori, e forse c'è poco in queste note che non sia giammai stato risentito in altro tempo, o luogo. Ma c'è un fatto innegabile: siamo al cospetto di un disco affascinante, che rivela pian piano e con rara eleganza, se trattato con la giusta dose di pazienza e rispetto, una bellezza inusitata nascosta negli angoli e nelle sfumature. Se musica oggi è ancora staccare gli occhi dal web, dalla televisione, dalla carta stampata, dalle valanghe di parole che ogni giorno ci travolgono, per abbandonarsi ai flussi emotivi liberi da pensieri e compromessi, questa, è musica per le nostre orecchie.
E i Besnard Lakes sono lieti di condurci per mano nel loro remoto, coloratissimo universo di sentimenti.

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