Voto: 
9.3 / 10
Autore: 
Ragnar
Genere: 
Etichetta: 
Black Mark
Anno: 
1988
Line-Up: 

- Quorthon - voce e chitarra

- Vvornth - batteria

- Kothaar - basso


Tracklist: 

1. Odens Ride Over Nordland (03:00)

2. A Fine Day To Die (08:36)

3. The Golden Walls Of Heaven 05:23)

4. Pace 'Till Death (03:40)

5. Holocaust (03:26)

6. For All Those Who Died (04:57)

7. Dies Irae (05:12)

8. Blood Fire Death (10:30)

9. Outro (00:58)

Bathory

Blood Fire Death

Questo è il primo, di una serie di sei album, che l’incommensurabile genio del compianto Thomas Forsberg ha voluto regalarci. Anzi, per l’esattezza, è il primo album Viking della storia. É vero che all’epoca il termine “Viking Metal” non era ancora stato coniato (per questo bisognerà attendere gli Enslaved, con Frost), ma ciò non toglie a Quorthon il merito di aver dato vita ad un nuovo genere.
Subito si capisce di avere a che fare con qualcosa di diverso dal Black dei primi tre CD.
Infatti, un’intro particolarmente azzeccata, Odens Ride Over Nordland, ci trasporta subito in quell’atmosfera cupa e fredda che si respira solo nelle terre del Nord. Ancora la qualità della registrazione non è ai massimi livelli, ma non per questo l’album ne risente minimamente. E poi, chi non ha sorriso ascoltando i folli rumori di fondo provenienti dall’esterno del garage di casa Forsberg?

I nitriti di Sleipnir aprono la strada alla prima canzone vera e propria, A Fine Day To Die. L’inizio lento ed evanescente lascia ben presto spazio alla furia nordica, con un roccioso riff di chitarra e una batteria che sembra voler abbattere una montagna.
Segue The Golden Walls Of Heaven, esempio più lampante del black vecchio stampo che lascia il posto al viking vero e proprio, pur senza perdere minimamente la sua preponderanza, tanto che questa canzone potrebbe tranquillamente trovarsi all’interno di un Under The Sign Of The Black Mark. Da notare come le iniziali dei versi di questo testo, se lette verticalmente, vanno a ripetere continuamente la parola Satan.
Con Pace ‘Til Death è difficile non pensare al thrash dei Bathory, con una canzone che apparentemente non c’entra niente con il Viking, e alla quale segue Holocaust, molto bella, e che trae a piene mani dal periodo black del giovane Quorthon, con la sua chitarra velocissima sostenuta da una batteria inarrestabile.
Una menzione speciale va fatta per For All Those Who Died, dedicata a tutte le vittime della piaga cristiana. Quello che il musicista di Stoccolma sembra volerci dire è: nessun perdono per i bastardi, nessuna scusa e nessuna discussione. Quorthon toglie loro anche la possibilità di difendersi, di giustificarsi in qualche modo, mentre urla con la voce più infuriata mai udita in terra:

FOR ALL THOSE WHOSE GREAT BEAUTY STIRRED THEIR TORTURES TO RAGE
FOR ALL THOSE WHOSE GREAT UGLYNESS DID THE SAME.


Solo un riff semplice e squadrato e uno scream furioso e devastante sono più che sufficienti per esprimere la rabbia per secoli di crimini infami, e il desiderio della giusta vendetta.
Segue Dies Irae, dai toni cupi e maligni, per sua natura rarità nel repertorio di Quorthon, soprattutto se si nota come le iniziali dei versi del testo questa volta vanno a formare la frase Christ The Bastard Son Of Heaven. Cose del genere non accadono certo per caso.
E in ultimo, la vera canzone dell’album, quella che definitivamente ha segnato il distacco dei Bathory dal Black, e allo stesso tempo la nascita di un nuovo genere. Potenza, epicità, furia. Questa è solo parte di ciò che scaturisce da ogni singolo istante di Blood Fire Death. Una chitarra acustica e cori evanescenti lasciano spazio a una forza devastante, incontenibile, incommensurabile. Per la prima volta nella storia, la furia nordica prende forma in musica, e colpisce il mondo con la forza di cento Mjöllnir, senza pietà, senza rimorsi.
Chi ha la capacità di sostenere tale impeto deve far suo questo CD. Chi invece non ne ha forza, deve solo cadere come grano al sole.

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