Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
A. Giulio Magliulo
Genere: 
Etichetta: 
Glitterhouse Records
Anno: 
1989
Line-Up: 

- Anthony Martin - vocals, bass
- Tommy Rey - drums (tracks 1 to 11, 16)
- Dave Wieland - drums (tracks 12 to 15)
- Joachim Breuer - guitar, vocals

Tracklist: 


1. Hole 1:38
2. Razor 2:57
3. Don't Know Much 1:49
4. Joy of Gardening 2:06
5. Drunk 2:52
6. Big Waste 2:49
7. Neighbor 2:59
8. Bo Diddley 2:46
9. Drive My Car 2:03
10. Lithium 2:36
11. Monticello 4:17

Bastards

Monticello

Probabilmente di questi americani non ne avrete mai sentito parlare, a parte gli omonimi francesi ed escluso, ovviamente, i "figli di Dioniso" di maionchiana memoria. Le Hole, quelle di Courtney Love, invece le conoscete. Per un periodo, al basso delle Hole suonava Kristen Pfaff trovata poi morta per overdose da eroina,  almeno così pare,  a meno che non vogliate credere a teorie cospirazioniste con la CIA protagonista di un'epurazione di massa della gioventù off americana. Prima di entrare nelle Hole, la Pfaff suonava nei Janitor Joe, e probabilmente anche di questi avrete sentito parlare. Nei Janitor Joe ci suonavano, oltre alla defunta, Joachim Breuer e Anthony Martin. Prima di Janitor Joe, questi signori erano i Bastards. Dopo si scinderanno in Casus Belli e Gnomes of Zurich ma a noi qui interessano i Bastards, viscerale formazione ingiustamente mai citata negli annali del grunge-noise.

Tutta questa lunga e noiosa digressione genealogica non è tanto funzionale all'aspetto sonoro quanto alla comprensione dell'humus piuttosto degradato di certa America alla fine dell'edonismo reaganiano (e i nostri sono di Minneapolis). Distribuito in Europa dalla tedesca Glitterhouse che in quegli anni flirtava commercialmente con la label di Hazelmeyer Amphetamine Reptile, questa produzione è apparentata con altri gruppi della scuderia per affinità elettive oltre che stilistiche. Il retro copertina di questo cd, che non potete vedere, mostra un travestito biondo platino inguainato in una tutina 'sudo ma godo' in latex rosso, con tanto di frustino e copriuccello 'ton sur ton'. In una miserabile stanzetta di un presunto miserabile motel. Nella front  cover che invece potete vedere sopra, c'è un desolante silos. Potenza dell'immagine, capace di svelare un mondo, o almeno lasciarlo intuire.

Se dovessi invece descrivere questo disco per analogia con un film, direi senza dubbio Henry, Portrait of a Serial Killer, noto in Italia come "Henry, Pioggia di Sangue" del regista Mc Naughton, e non tanto per una vaga efferatezza in sé, più accomunabile a sottogeneri notoriamente grandguignoleschi del metal, quanto per l'atmosfera assolutamente angosciante e per i colori ed i suoni lividi che da questo Monticello fuoriescono.

I gruppi a cui alludevo precedentemente, sono assolutamente pertinenti nella resa della descrizione sonora: Unsane, una visione senza speranza, Cows, pazzia e degenerazione assoluta, ma senza neanche un'oncia del loro cinismo marcio (che ad ogni modo un ghigno pure lo strappava), Tad per quel suo portare il grunge in territori molto più distanti dal romanticismo flanellato di cui alcuni alfieri son stati forieri, sporcandolo con schizzi di metallo futurista e desideri da camionista ubriaco più che da timido clerk di centro commerciale. Ed ancora Hammerhead, anche loro invecchiati nell'oblio, estremizzazione a livelli fumettistico-caricaturale di certo noise e, anche se non avrei voluto scriverlo, Melvins, non tanto in senso estetico (i Melvins son docenti di filosofia al confronto) quanto per quell'ostinato passo cadenzato, nevrotico, che in quegli anni all'insegna della velocità era difficile imporre (escludendo le legioni del doom ovviamente).

Questo un possibile perimetro d'azione sonora dei nostri, sebbene esageratamente più aguzzi, taglienti e al vetriolo delle esperienze contemporanee. E più volgari, sguaiati e slabbrati. E drammatici ma mai caotici, nel loro furore bipolare. Lontani da un'idea di suono noise convenzionale per quei tempi (ove mai ne esistesse uno e solo uno) ma  riduttivo anche il termine 'grunge', poiché nessun gruppo grunge avrebbe portato mai il livello di disperazione e vuoto esistenziale così oltre. O solo immaginato un suono di chitarre così granulare, granitico e metallico.

Hole, Razor e Don't Know Much  sono solo tre titoli autoreferenziali ed esplicativi dei contenuti, e c'è perfino una Bo Diddley che è sottoposta al medesimo trattamento e che magari può essere intesa come una sorta di provocazione dei Bastards nei confronti di una tradizione che - sanno - non li riconoscerà mai come figli, privandoli perfino del ruolo di cult-band che spesso si attribuisce anche a cani e a porci.
Ma questa è solo una mia intellettualizzazione di un concetto probabilmente del tutto assente dalla realtà di questi tre individui, magari è solo un divertissement da reazionari conservatori rock americani.

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