Voto: 
9.5 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Genere: 
Etichetta: 
Circa
Anno: 
1994
Line-Up: 

- Daniel Gish - tastiera, pianoforte, Hammond
- John Ling - basse, percussioni, samples, programmazione
- Mark Simnett - batteria, percussioni
- Graham Sutton - voce, samples, programmazione, chitarra, pianoforte, melodica, Hammond
- Neil Aldridge - triangolo, programmazione
- Pete Beresford - vibraphone
- Phil Brown - flauto
- Del Crabtree - tromba
- Dave Ross - djembe

The Duke Quartet:
Louisa Fuller - violino
Rick Coster - violino
John Metcalfe - violino
Ivan McCready - violoncello


Tracklist: 

1. The Loom
2. Street Scene
3. Absent Friend
4. Big Shot
5. Fingerspit
6. Eyes and Smiles
7. Penduluum Man

Bark Psychosis

Hex

Vien difficile parlare di certi album, cercare di descriverli e convincere della loro bellezza, perché raggiungono quella soglia in cui ciascun commento sarebbe superfluo oltre che difficilmente obiettivo; quest'ultimo fatto perché dischi del genere, una volta che ci si immerge nell'ascolto e ci si lascia catturare dalla meraviglia di ciascun suono emesso, rendono difficoltosa ogni espressione di pensiero sulla loro musica. Ed un po' come quando ci si chiede se ha senso che un bene prezioso come l'acqua abbia un insulso prezzo in denaro, viene da chiedersi se forse certi album hanno veramente bisogno di un numeretto che ne identifichi il voto, tale è la loro grandezza. Hex dei Bark Psychosis potrebbe rientrare fra questi album. Il gruppo aveva in precedenza già pubblicato diversi singoli, raccogliendo i semi del post-rock che erano stati già sparsi qualche anno prima da bands storiche come i Talk Talk e rimescolando il tutto con elementi dal dream pop, dall'ambient, dal jazz e dal pop, quando nel 1994 compiono finalmente il passo della prima pubblicazione: Hex arriva silenziosamente, un immensa espressione fresca e innovativa, stilisticamente in contrasto con scene, che lo nascosero ai più, come il grunge o il britpop, eppure riuscì e riesce ancora oggi a guadagnarsi dei consensi enormi dalla critica.

I Bark Psychosis rendono più maturo e controllato il loro sperimentalismo creando questo gioiello dove sapientemente si fondono la forma jazz, elementi puramente psichedelici, tappeti atmosferici ambient e sonorità eteree che richiamano in lontananza il dream pop, in quello che è un vero masterpiece progressista nei bistrattati anni '90, frutto del genio di Graham Sutton (cantante e chitarrista) e Daniel Gish (tastierista) in quella Inghilterra di inizio anni '90. Oltre a tutto ciò in Hex riveste una particolare importanza anche il silenzio, o meglio, una certa propensione all'alleggerimento sonoro e a lasciare che poche note portino avanti il discorso, come se fosse più importante ciò che non viene detto piuttosto di ciò che viene detto.
Una caratteristica molto importante, perché in Hex suoni e non-suoni si combinano e ricombinano, pur con maggiore fluidità e adesione alla forma canzone rispetto ai Talk Talk (dove capitavano anche momenti ancora più minimalisti). Vortici di melodie e distensioni giocano a mescolarsi e gli strumenti sublimano forma e sostanza producendo note e lasciando pause che arricchiscono l'intessitura dell'album. Sutton è molto esauriente quando afferma che vivendo in una città caotica e chiassosa come Londra, si arriva a scoprire quanto il silenzio possa essere molto più potente ed efficace di qualsiasi rumore. E così pian piano ciascun pezzo assume una vita propria fino a diventare una piccola preziosa perla, ma al contempo sono un tutt'uno con l'intero album che scorre libero, fluido, come se fosse un'unica, immensa, emozionante ed omogenea canzone; solo quando finisce si ritorna alla realtà, ma viene subito voglia di ripetere da capo l'esecuzione, di tornare a sognare nel magnifico quadro di Hex.

Il vellutato pianoforte che introduce The Loom apre l'album, combinandosi a timidi arpeggi di chitarra e al basso, finché la struttura non si avvia e da un pezzo classicheggiante qual era diviene un toccante sviluppo di ritmiche quasi funk e tappeti di tastiera in sottofondo a rendere il tutto un volo celestiale. E nel frattempo sopraggiunge Street Scene, lenta, ipnotica, almeno fino al denso, melodico ritornello, che da il via definitivo al timbro jazzistico misto a chitarre allucinogene. E alla fine, una lunga esecuzione di timidi giri di note di chitarra che va a rimescolarsi nel tutto. Absent Friend nella sua suite rilancia ancora di più questi giri di chitarra teneri e leggeri, ma straordinariamente efficaci, e il basso, unito al sassofono stentato, rende l'atmosfera sempre più vicina al jazz da camera. E viene poi Big Shot, dalle tinte notturne, amalgamate con eleganza al dub della sezione ritmica e al tappeto di tastiere di sottofondo che si può quasi palpare con mano. Fingerspit distende l'ambiente con malinconia e desolazione, dove le chitarre acidee e i rintocchi di pianoforte si innestano nel ritmo jazzato dando luce ad un brano noir, fortemente minimalista sia nelle atmosfere fumose che negli arrangiamenti, soprattutto nel finale dove il tutto, lentamente, comincia a dissolversi. Eyes and Smiles procede in maniera simile, con timidi continui arpeggi misti al mellotron e ad un sassofono sofferente. Il finale rappresenta l'apice di emotività nella canzone e forse in tutto l'album, con il canto filtrato di Sutton, prima della strumentale Pendulum Man, l'ennesima perla che chiude il disco, dove il lato ambient viene evidenziato ancora di più con i suoi tappeti suggestivi che raggiungono sonorità cosmiche e celestiale. Gli arpeggi di sottofondo sono inesorabili come quelli di un orologio, o di un pendolo, aumentando la distensione, la tranquillità, punti dove la canzone colpisce più a segno, cullando con dolcezza la mente che rimane ad assaporare il senso di beatitudine trasmesso dall'atmosfera tanto intensa, ma anche tanto delicata.

A questo punto il viaggio è finito, cinquantuno minuti di puro incanto e di contemplazione. Viene spontaneo ricominciare l'ascolto, abbandonarsi e lasciare che Hex torni a stupire con la sua intessitura musicale che sublima la raffinatezza e la ricchezza di suoni delle strutture dilatate tipiche del post-rock, evitando con eleganza i canoni convenzionali della canzone ed espandendo il tutto fino a raggiungere un'alchemia di pura progressione sonora. Una piccola curiosità è che il termine "post-rock" fu coniato proprio per Hex, album nelle cui recensioni comparve per la prima volta il termine, andando a identificare un genere in cui gli strumenti usati sono quelli tipici del rock, ma il modo in cui vengono usati non lo è, in una sorta di non-rock dove le chitarre sostengono i suoni e la trama della musica piuttosto che creare riff e power chords d'impatto.
E' un vero peccato che ci sarebbero voluti altri dieci anni per vedere i Bark Psychosis mettersi a lavoro su un nuovo album. Infatti, solo nel 2004 esce il loro secondo disco, Codename: Dustsucker, un album controverso che alcuni apprezzarono notevolmente, mentre altri ne rimasero delusi fortemente.

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