Voto: 
9.0 / 10
Autore: 
Lorenzo Iotti
Etichetta: 
Inside Out/Audioglobe
Anno: 
2004
Line-Up: 

Cantanti:
- James LaBrie (Dream Theater) as Me
- Arjen Lucassen as Best Friend
- Marcela Bovio (Elfonìa) as Wife
- Mike Baker (Shadow Gallery) as Father
- Eric Clayton (Saviour Machine)as Reason
- Heather Findlay (Mostly Autumn) as Love
- Mikael Ǻkerfeldt (Opeth) as Fear
- Magnus Ekwall (The Quill) as Pride
- Irene Jansen (ex Karma) as Passion
- Devon Graves (Dead Soul Tribe) as Agony
- Devin Townsend (Strappping Young Lad) as Rage

Musicisti:
- Arjen Lucassen - chitarra elettrica e acustica, basso, mandolino, tastiere, sintetizzatori, Hammond
- Ed Warby - batteria e percussioni
- Robert Baba - violino
- Marieke van der Heyden - violoncello
- John McManus e Joreon Goossens - fiati
- Joost van der Broek, Martin Orford, Oliver Wakeman - tastiere e sintetizzatori
- Ken Hensley - Hammond

Tracklist: 

1. Day One: Vigil
2. Day Two: Isolation
3. Day Three: Pain
4. Day Four: Mistery
5. Day Five: Voices
6. Day Six: Childhood
7. Day Seven: Hope
8. Day Eight: School
9. Day Nine: Playground
10. Day Ten: Memories
11. Day Eleven: Love
12. Day Twelve: Trauma
13. Day Thirteen: Sign
14. Day Fourteen: Pride
15. Day Fifteen: Betrayal
16. Day Sixteen: Loser
17. Day Seventeen: Accident?
18. Day Eighteen: Realization
19. Day Nineteen: Disclosure
20. Day Twenty: Confrontation

Ayreon

The Human Equation

Ospedale. Respiratore. Passi. Colpo di tosse. Voce maschile, fredda e distaccata nel suo dolore.Voce femminile, angelica, eterea, commovente. Motore di un’auto. Sterzata improvvisa.
Poco più di un minuto e mezzo di introduzione conducono per mano l’ascoltatore nei meandri di The Human Equation, un viaggio nella mente umana alla disperata ricerca di una via d’uscita, grandioso concept album scaturito dalla mente geniale del chitarrista/polistrumentista/cantante/compositore Arjen Lucassen, leader e unico componente fisso insieme al grandioso batterista Ed Warby del progetto progressive Ayreon. Per la realizzazione del disco Arjen è affiancato come di consueto da una schiera di cantanti, che comprendono nomi di spicco come James LaBrie (Dream Theater), Michael Akerfeldt (Opeth) e Devin Townsend (Strapping Young Lad), e da una banda folk olandese.
L’album, suddiviso in due cd, si configura come una vera e propria opera Rock, dove ogni cantante rappresenta un personaggio. Il ruolo del protagonista tocca a James LaBrie, in grande spolvero dopo la mediocre prestazione vocale di Train Of Thought.
La storia è questa: un uomo entra in coma in seguito ad un incidente d’auto. Al suo fianco, sua moglie (Marcela Bovio) e il suo migliore amico (Arjen Lucassen). Dentro di lui, le sue emozioni: Ragione, Amore, Orgoglio, Passione, Paura, Rabbia, Agonia. Nel corso delle 20 canzoni, ognuna delle quali rappresenta un giorno di coma, il protagonista cercherà di uscire dalla sua condizione, lottando contro i proprio sentimenti, riflettendo, ricordando e facendo venire a galla la verità.
Quasi tutti i brani si sviluppano secondo una struttura simile: inizio lento e sommesso, guidato da chitarra acustica, fiati o violini, che esplode verso metà canzone in un sound più pesante creato da chitarra elettrica, tastiere e sintetizzatori e sezione ritmica complessa e mutevole.
Meravigliosi gli intermezzi folk presenti in diverse canzoni, così come gli assoli di tastiera, che avvolgono l’ascoltatore in un flusso interminabile di note, e di chitarra, tanto semplici quanto emozionanti.
Le parti vocali, magnificamente ispirate, si basano soprattutto sul dialogo tra le varie voci, rasentando talvolta il cantato operistico. Impeccabile la prova di tutti i cantanti, sia nei pezzi in voce pulita sia nelle brevi parti in growl.

Prima canzone vera e propria del disco, Isolation, introdotta dalla voce di uno spaesato James LaBrie, si sviluppa in un’alchimia di riff di chitarra elettrica, assoli di tastiera e intermezzi folk che immerge l’ascoltatore nella mente del protagonista, che si confronta con le sue emozioni, faticando ad accettarle come parte di se.
Emozionante e commovente, Hope ci porta indietro nel tempo sul filo della speranza fino ai capitoli più felici della giovinezza del protagonista, guidati dalla voce di Arjen e da uno stupendo giro di tastiere.
La orecchiabile ma poco sensata strumentale Playground ci introduce in Memories, l’episodio più scadente del platter, a causa di parti vocali eccessivamente melense e noiose.
Il secondo cd si apre con Trauma, che, dopo un breve riassunto dei motivi portanti delle canzoni precedenti, si sviluppa su toni più cupi, oscuri e cadenzati, mantenendo comunque alcune parti coristiche più melodiche.
Pride, il brano più heavy del disco, ricorda i Dream Theater di Awake, con riff pesanti e distorti e LaBrie che si muove su tonalità vocali più acide. Non mancano anche qui alcuni pezzi più melodici: un meraviglioso intermezzo di fiati e un assolo stupendo di Arjen, che come sempre non esaspera l’ascoltatore in inutili tecnicismi ma esprime in poche note mille emozioni.
Il suono ronzante dei didgeridoo introduce Loser, insieme alla finale Confrontation il pezzo migliore del disco. Si raggiunge il perfetto connubio tra folk e metal: banjo, fiati, chitarra elettrica e batteria si mischiano insieme creando una musica magnifica e indimenticabile; parallelamente si sviluppa il monologo del Padre del protagonista, interpretato da un malvagio e sprezzante Mike Baker, che viene interrotto a metà brano da uno stupendo assolo di organo Hammond e alla fine dal growl rabbioso e inumano di Townsend.
Confrontation, atto finale di questo capolavoro, vede la partecipazione di tutti i personaggi (ad eccezione del Padre). Il confronto finale è quello tra il protagonista e il miglior amico, entrambi colpevoli di tradimento nei confronti dell’altro. Si inizia quindi con un dialogo telepatico tra i due personaggi; tutto viene chiarito, “Come back to us, somehow!” esorta la voce di Arjen, e adesso sì, il viaggio può concludersi. Chitarra e sintetizzatori ci guidano verso l’uscita, i cori delle emozioni ci circondano, e arriviamo al gran finale: il tempo impazzisce, la tensione sale e, prima ancora che ce ne possiamo accorgere, è tutto finito. L’album si chiude con una frase del Dream Sequencer, un’altra geniale invenzione di Lucassen, che collega questa ultima opera alle precedenti in un assurdo percorso fantastico.

Continua dunque l’avventura fantascentifica degli Ayreon con questo disco stupendo, un disco che sballotta l’ascoltatore da un estremo all’altro, dove, citando lo stesso Lucassen, le parti calme sono più calme, le parti prog sono più prog, le parti folk sono più folk e le parti heavy sono più heavy. Mentre attendiamo trepidanti il nuovo capitolo della storia, non ci resta che tornare alla prima traccia e rientrare nel sogno…

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