Tourist aveva diviso la critica, creano due nicchie abbastanza definite. Si erano schierati compatti coloro che il secondo disco degli Athlete lo avevano definito quale piccolo gioiello di preziosa arguzia musicale. Ma c'è stato anche chi, come noi, non aveva dato troppo credito alle sonorità qua e là scopiazzate da Joel Pott e compagni.
Ci riprovano due anni dopo, i quattro ragazzi (oramai adulti) di Deptford, Londra, ma la sostanza sembra non essere cambiata. Anzi, la sensazione che suscita in noi l'ascolto di Beyond the Neighbourhodd, terzo full-lenght per la band, è quella amara di una band che davvero non ha la minima idea di dove voler andare a parare.

Aggiungiamoci anche una serie di dichiarazioni intrise di malcelata presunzione per il quartetto alla vigilia dell'uscita di questo lavoro e la frittata è pronta in tavola. Aspettative mancate, certo, ma anche una sonora delusione per chi si attendeva di ritrovare negli Athlete un valido esempio di Indie Rock spruzzato di Brit Pop da affiancare a chi ad onore merita ben altri palcoscenici. Niente da fare, perché in Beyond the Neighbourhood non ci piace la sensazione elettronica di musica prodotta con i colori che attirano i visitatori dei centri commerciali. Le undici tracce del full-lenght si configurano, infatti, come potenziali singoli radiofonici, chi più chi meno, con le ammalianti caratteristiche delle canzoncine che fanno sognare dopo due minuti, creando nell'ascoltatore la semplice suggestione di un disco ben fatto ma in realtà assolutamente privo di valori e di anima propria.

Si comincia con un intro strumentale, In Between 2 States, il quale riesce per davvero a creare qualcosa di buono soltanto nei riff conclusivi. E' il momento anticipatore per Hurricane, forse il pezzo più riuscito degli Athlete versione 2007. Se un paio di anni prima le immediate sonorità dei quattro riconducevano alla gloria ottenuta in patria dai connazionali Coldplay, altrettanto non si può dire di questo Beyond the Neighbourhood. Gli innesti elettronici nell'impianto Indie (Pop) Rock ingegnato da Pott e soci sembrano quasi un omaggio a qualche ondata di deja entendu (The Killers, tanto per dirne una) seppur in salsa commerciale.
Tokyo è il singolo vero e proprio; mielosa commistione di suoni da riempipista in un club qualsiasi di una qualunque metropoli del globo. Verrebbe voglia di premere stop, ma la speranza di veder cambiare le carte in tavola è ancora viva.

Non accade nulla, ahinoi. Eccezion fatta per qualche traccia ben congegnata (ma comunque non in grado di far svoltare gli Athlete in modo significativo), quali ad esempio la semi-ballata Second Hand Stores oppure Best Not To Think About It, posta in fondo alla tracklist, il resto è puro concentrato di superficialità. Un contesto nel quale, per altro, non emerge nemmeno la parte vocale che in Tourist appariva decisamente più limpida.
Una mezza bocciatura? No, la bocciatura stavolta c'è e senza troppe possibilità di appello. Sono lontani i tempi delle strette di mano e delle moderate pacche sulle spalle dopo Vehicles and Animals. Quelli odierni, sono giorni in cui gli Athlete vivono dell'illusione di aver sfornato un prodotto innovativo. Illusione per le masse, nella quale inebriarsi con convinzione. Illusione che non fa certo per noi, sia chiaro.