Voto: 
8.9 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Etichetta: 
Active Records/Metal Blade
Anno: 
1993
Line-Up: 

- Kelly Shaefer - Voce, Chitarra Ritmica
- Randy Burkey - Chitarra
- Frank Emmi - Chitarra
- Tony Choy - Basso
- Josh Greenbaum - Conga, Batteria

- Marcel Dissantos - Batteria
- David Smadbeck - Piano


 

Tracklist: 

1. Green
2. Water
3. Samba Briza
4. Air
5. Displacement
6. Animal
7. Mineral
8. Fire
9. Fractal Point
10. Earth
11. See You Again
12. Elements

Atheist

Elements

Dopo l’ottimo Unquestionable Presence, (1991) uno dei migliori dischi di Death tecnico di sempre, il batterista Steve Flynn lascia una band oramai decisa a sciogliersi: la morte di Roger Patterson (bassista), appena antecedente alle registrazioni di Unquestionable Presence, e l’abbandono di Flynn sembrano segnare la fine degli Atheist.

Tuttavia la casa discografica impone l’uscita di un altro disco, e gli unici due superstiti della formazione originale, il vocalist e chitarrista Kelly Shaefer e il chitarrista Rand Burkey, decidono di riformare gli Atheist chiamando nuovi membri.

Confermato al basso il fenomeno Tony Choy (ex nei Cynic durante il loro periodo demo e session nei Pestilence su “Testimony of the Ancients”) che aveva già suonato le linee di basso su Unquestionable Presence (in quel caso aveva semplicemente suonato partiture scritte da Patterson), vengono inseriti nella line-up anche il batterista Josh Greenbaum e il chitarrista Frank Emmi.

E’ così che, in soli 40 giorni viene composto e registrato Elements, quello che sarà l’ultimo lavoro degli Atheist.
Un lavoro che è naturale evoluzione del loro sound: se Unquestionable Presence era un disco sì tecnicissimo e con influenze fusion, ma ancora profondamente ancorato alle sue radici Death, questo Elements le radici le strappa con forza, trasformando il suono Atheist: Ora le parti Death Metal si riducono, l’estro di Choy ha libero sfogo, le stoppate e ripartenze nemmeno si contano più, aumentano esponenzialmente le venature fusion, per la prima volta ci sono parti di sapore latino-americano.

Anche la sezione ritmica si presenta diversamente: Greenbaum non ha la straripante caoticità di Flynn e la sua vena fantasiosa, ma il suo drumming risulta invece più preciso e pulito; inoltre in coppia con Choy tira fuori cose pregevolissime, risultandone il naturale complemento.

Ma passiamo alla cosa più importante, i brani: sono di una qualità impressionante.
Pur non perdendo in complessità né in livello tecnico, risultano leggermente più orecchiabili, mentre le lyrics, come si evince dai titoli, si occupano degli elementi naturali e soprattutto del rapporto, spesso distruttivo, che l’uomo ha con loro.

Il disco è composto da 12 tracce di cui 4 strumentali d’intermezzo, alcune mediocri (Fractal Point e See You Again), che sembrano non andare da nessuna parte -quasi degli “abbozzi”- e alcune ottime, come la splendida Samba Briza, il cui genere musicale è chiarito fin dal titolo, in cui si unisce il guest David Smadbeck come pianista.

Il disco è un susseguirsi di highlights: si parte con Green, che lascerà a bocca aperta sia chi per la prima volta ascolta gli Atheist sia chi conosce i loro lavori precedenti, e passando per la stupenda Water (di una bellezza smagliante gli stacchi fusion in questo pezzo) si arriva alla già citata Samba Briza.
La quarta Air gode di un ritornello memorizzabile all’istante e di una sezione ritmica nuovamente sugli scudi.
Segue la strumentale Displacement, davvero sorprendente, una breve traccia d’atmosfera in cui i dolci e semplici accordi del basso di Tony, quasi “sospesi” su un tappeto di leggere chitarre, vi ipnotizzeranno.
Dopo la calma quasi surreale di Displacement, il basso continua a essere protagonista anche nella seguente, ottima, Animal.
Il meraviglioso assolo finale della settima Mineral mi da lo spunto per parlare del lavoro delle chitarre: muovendosi ecletticamente tra Rock, Fusion, Jazz, Samba e Metal, i chitarristi danno spettacolo in tutto il disco, inanellando uno dopo l’altro riff memorabili e solos magistrali.
La voce di Shaefer è invece ottima nella seguente Fire: la sua voce, né troppo sporca né troppo pulita, ma graffiante e piena di carica, è a mio parere proprio ciò che ci vuole per questo Elements.
Tra le due già menzionate strumentali d’atmosfera -in cui la magia di Displacement non riesce purtroppo a ripetersi- è posta Earth, sulla cui bellezza non c’è bisogno di dilungarsi, in cui  Greenbaum si fa notare per l’ottimo accompagnamento.
A chiudere, la title-track Elements, che, come un riassunto finale, richiama a livello lirico tutte le precedenti tracce in un elogio allo “spettacolo degli elementi”: ennesima riprova del talento di questi ragazzi, come i pezzi che l’hanno preceduta non si differenzia particolarmente nello stile (il disco è piuttosto omogeneo) ma i suoi riff e le sue armonie rimarranno impressi nella vostra mente.

Che dire di più? Se vi piace il genere, se amate le contaminazioni, se la musica per piacervi dev’essere tecnica, se la musica per piacervi deve emozionare...
Se, semplicemente, amate la buona musica... mettete da parte la vostra condizione di esseri umani e tuffatevi nella natura, tuffatevi negli Elementi. E’ un’esperienza che non dimenticherete.

Pazzo, geniale, sconvolgente. Capolavoro.

“...Enjoying all the warmth of fire
Longing for the breeze of morning air
Douse myself with the purest water
Something so divine
The spectacle of Elements...”

Elements-Atheist

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