Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Genere: 
Etichetta: 
Percht
Anno: 
2009
Line-Up: 

- Carles
- Daniel
- Saül

Guests:
- Raul Guerrero - Gaita su “Caballos Solares” e “Danza de Guerra”


Tracklist: 

:
1. Última hoguera
2. Ilmatar
3. Urogallo
4. Danzas de Guerra
5. Tu Tierra
6. Hijo de Deva
7. El Trashumante
8. Aguarda
9. Caballos Solares
10. Tormenta
11. Galdr
12. Tu Miedo

Bonus Tracks - presenti solo sull'edizione limitata
13. ¡¡Bailad, Bailad, Bailad!!
14. Escarcha
15. El Camino al final del día

Arnica

Viejo Mundo

Debutto di grande interesse quello degli Àrnica, che dopo un paio di apparizioni su compilation e split (un classico per l'ambiente Neo Folk) arrivano a dare alle stampe il proprio primo disco sotto lo stendardo della Percht, sottodivisione della celebre label austriaca Steinklang.

Ad un'occhiata superficiale può sembrare ameno l'incrocio austro-catalano di questa produzione, ma ascoltando il disco si nota subito il perchè della collaborazione: gli Arnica sono infatti una specie di versione iberica degli Sturmpercht, che trasporta a cavallo dei Pirenei e sui rilievi interni della Catalogna quell'Alpine Folk che tanta fortuna ha portato al gruppo di Max Percht (che compare anche come ospite in una delle tracce di quest'album). Non sarà un caso, quindi, che un brano come “Tormenta” sia ispirato direttamente dagli Allerseelen (anch'essi austriaci), nonostante poi, ovviamente, i suoni effettivamente ricreati dagli Arnica vadano a pescare nella tradizione rurale spagnola.

Si mantiene comunque una discreta distanza da altri gruppi iberici Neo Folk, per esempio gli apprezzati portoghesi Sangre Cavallum, caratterizzati da un suono più movimentato, danzante e vicino alla forma canzone. Gli Àrnica, invece, ricreano un'atmosfera più dimessa e solitaria, tipicamente pastorale, di cui quattro elementi sono gli artefici principali: la voce roca, sempre rigorosamente in lingua autoctona (spagnolo o catalano) e alternata tra invocazioni a pieno petto e calmi bisbigli; le percussioni, immancabili nella loro tambureggiante cadenza, e fortunatamente più vicine ad un immaginario tribale piuttosto che a quello marziale tipico del Neofolk; gli strumenti tradizionali, cui viene affidato il compito di dipingere le scarne e primitive melodie; ed infine, ma assolutamente di primaria importanza, le field recordings – a campanacci d'armenti e sbuffi d'animali, a passi e calpestii, a fruscii di povere vesti e crepitii di falò spetta infatti di rappresentare la natura, a conti fatti una vera e propria protagonista dell'album.

Difatti “Viejo Mundo”, come il titolo lascia intendere senza nemmeno l'ombra di un dubbio, è un disco ancorato ad una visione 'antica' del mondo, raccontata da un anziano agli ultimi passi della sua vita ad un giovane viandante che si è fermato alla sua dimora – gli Arnica riprendono i quotidiani rituali lavorativi che da secoli identicamente scandiscono la vita dei cacciatori, dei contadini e dei pastori (“El Trashumante”), toccano aspetti religiosi e spirituali ('nel mio sangue rivive il guerriero, nella mia attitudine rivive il lupo', in “Tu Miedo”), battaglieri (“Danza de Guerra”) e atavici (''Ho un patto con il fiume, con il vento, con il sole! Io sono la nebbia repentina, io sono il tuo sangue, il tuo sudore!' declamano in “Hijo de Deva”), ma sempre legati all'interazione con la natura, cui ci si rivolge spesso direttamente (“Bailad Bailad Bailad!!” con Max Percht ospite), invitando 'Pietre, alberi, acqua e animali' ad 'udire il mio canto che si alza' e ad 'ascoltare la musica, che fa crescere e muovere le radici'.

Al Neofolk moderno, soprattutto tedesco e nord-europeo, che fa della chitarra il centro del proprio universo viene concesso spazio solamente nella ballata “Aguarda”, scandita dalla sei-corde, da uno scacciapensieri e da un triste coro, e nella soave e pizzicata “Ilmatar”; altrove la chitarra è invece pressochè sempre assente, lasciando spazio (come già delineato in precedenza) agli strumenti tradizionali: per i momenti più quieti e ambientali (predominanti nel disco) si tratta spesso di flauti, fisarmoniche (“Tu Tierra”) o corni, mentre quando l'intensità del brano richiede interventi più incisivi, la scelta ricade sulla gaita catalana (denominata specificatamente dai locali Sac de Gemecs, ovvero 'sacco di gemiti'), come nelle splendide “Caballos Solares” (rituale e tribale, urlata a piena voce come una possente invocazione) o “Danzas de Guerra”, quasi interamente strumentale.

Anche la voce spazia tra emozioni e inflessioni diverse, passando dai toni calmi di “Ilmatar” o “El Camino al final del día” (tristissima, declamata dall'ospite inglese Andrew King per un interessante melting pot culturale) a quelli terrorizzanti di “Hijo de Deva” e “Tu Miedo”, ed utilizzando spesso la possibilità di inserire cori di sfondo, sotto forma di mantra ripetuti allo sfinimento (ancora “Hijo de Deva”, in cui il titolo è reiterato ossessivamente per tutta la canzone) o di ipnotici galdrar simil-celtici.

Proprio come il fiore da cui prendono il nome, dotato di potenzialità medicinali e curative quanto di pericolosissime controindicazioni tossiche, la musica degli Àrnica mette in mostra un calderone di immagini e racconti su scorci di vita la cui intensità e primitiva poesia scaldano il cuore tanto quanto la fatica e la solitudine dello stesso tipo di esistenza possono indurirlo.
“Viejo Mundo” è un disco consigliato a chi segue le produzioni Percht e Ahnstern, a chi apprezza il Neo Folk più particolare e meno standardizzato possibile, a chi cerca una musica arcaica, atmosferica, istintiva, fatta di piccoli quadretti agresti ed ancestrali di toccante sincerità ed intensità.

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