Voto: 
6.5 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Etichetta: 
East West
Anno: 
2006
Line-Up: 

- Danny Griffiths - sound effects, keyboards, programming
- Darius Keeler - keyboards, choral arrangments, orchestral arrangments, programming, engineering
- Pollard Berrier - vocals, guitar, keyboards, sound effects, choral arrangments, orchestral arrangments

Guests:
- Jane Wall - vocals
- Maria Q - vocals
- Pete Barraclough - guitars, sound engineering
- Dominic Brown - guitars
- Mike Hurcombe - guitars
- Steve Harris - guitars
- Dave Penney - guitars, vocals
- Steve Barnard - drums, percussions
- Steve Watts - horgan, piano
- Lee Pomeroy - bass, mellotron
- Glen Gordon - horn
- Jane Hanna - horn
- Adrian Northover - saxophone
- Matt Martin - drums
- Alan Glen - harmonica
- Tom Brazelle - harmonica
- Anita Hill - triangle
- Carl Holt - trumpet
- Annelise Truss - viola, violin

Tracklist: 

1. Sane
2. Sit Back Down
3. Veins
4. System
5. Fold
6. Lights
7. I Will Fade
8. Headlights
9. Programmed
10. Black
11. Taste of Blood

Archive

Lights

Il quinto album degli Archive, intitolato Lights e che vede Pollard Berrier sostituire Craig Walker come cantante principale, interpreta certe soluzioni del precedente Noise con una vena meno propensa alle stratificazioni pop/barocche e più elettronica, coniugando le sue mescolanze sonore con un cuore pulsante e sintetico a far da vettore per la musica, mentre il contorno atmosferico si fa anche più curato ed avvolgente. A volte questo conferisce maggiore vitalità e freschezza al sound degli inglesi, che ne trae giovamento in virtù di una maggiore ricchezza compositiva e di arrangiamenti più originali, variegati e trascinanti; altre volte però non fa che riproporre gli stessi difetti di Noise con mezzi diversi, il risultato in questi casi però non cambia e i tentativi di esaltare la carica emotiva ed onirica di sottofondo nelle canzoni finisce per fare da cornice raffinata ma superflua ad un contenuto più sbrodolato e pomposo.
Non mancano ancora una volta pezzi più acustici che però tendono ad essere troppo debitori  dei gruppi pop-rock e alt-pop inglesi per convincere appieno.
La ricezione di Lights da parte di pubblico e critica fu infatti generalmente molto negativa: nel complesso però di canzoni riuscite e coinvolgenti, dotati di una verve interessante e godibile, ce ne sono più che nel predecessore, e mostrano anche più spessore e classe dell'ultimo episodio. Per questo ci sentiamo di valutare Lights preferendolo a Noise, soprattutto in virtù di quei pochi momenti più caratterizzati che recuperano la personalità di You All Look the Same to Me (e il suo crocevia fra tendenze stilistichee differenti) integrandola nella maggiore immediatezza e nella più accesa emotività di Noise, per poi immergere il risultato in un sound elettronico arricchito dalla solita cura certosina di Keeler e Griffiths nel songwriting.

Le prime due canzoni in ogni caso fanno ben sperare: Sane è guidata da una batteria elettronica spedita e dalle corpose tastiere che si intrecciano fra loro, mentre Berrier segue linee vocali accattivanti e vitali; invece Sit Back Down mescola tastiere ossessive, battito downtempo, pulsazioni acide e tappeti sonori spaziali/psichedelici.
Successivamente però c'è un breve calo, aperto da System con i suoi battiti sintetici, i bassi intermittenti e le distorsioni ovattate, potenzialmente efficace ma che però suona troppo monotona e stantia rispetto alle precedenti due canzoni (tranne nel finale più allucinogeno).
Veins ricorda un po' troppo You're My Best Friend dei Queen, aggiungendoci strings melodrammatiche, tinte gospel e bassi dub; e Fold è una ballad dolceamara troppo ripetitiva e derivativa dai momenti più melensi dei Coldplay per essere riuscita al 100%, nonostante venga impreziosita dagli inserti elettronici robotici d'accompagnamento e dai bassi dub.
Fortunatamente a questo punto c'è il picco del disco con la suite di 18 minuti della titletrack, corposo viaggio spaziale che catapulta in un vortice psichedelico e malinconico fra intensi climax distorti ed avvolgenti tappeti onirici, sostenuti dai synth mesti ma ossessivi e dalla batteria downtempo. Un punto d'incontro fra trip hop, post rock ed electro-ambient che rappresenta probabilmente il vertice creativo ed ispirativo dell'album, forse giusto un po' troppo allungato se ci si vuole trovare un neo.
Per contro I Will Fade è una ben più breve e placida ballad ambient/acustica mandata avanti da note cullanti e dalla voce dolce di Maria Q, in sè scorrevole, rilassante e atmosferica, ma troppo piatta e blanda al cospetto della precedente traccia.
Headlights parte molto bene ma si conclude con un nulla di fatto: è un trip hop dolente ed emozionale, incentrato su di un connubio fra la sezione ritmica tenue (bassi leggeri ma ripetuti ossessivamente, batteria rarefatta e sintetica) e i choirs banalotti di tastiera che dovrebbero ispessire la tensione drammatica di sottofondo, il tutto comunque procedendo con un crescendo prevedibile e per di più appiattito dalla mancanza di un culmine vero e proprio.
La successiva Programmed è un atipico pezzo che rimescola ballabilità quasi dance con vocalizzi filtrati, distorsioni sintetiche, alcuni richiami ai Primal Scream e delay trascinanti. Presenta quelle che sono forse le ritmiche più accattivanti e coinvolgenti del disco ed il risultato, intrigante e catchy com'è, suona migliore, anche se magari la canzone potrebbe stonare un po' a confronto.
La parte finale dell'album delude con Black, electro-rock povero d'idee che all'improvviso si trasforma in una fotocopia dei Muse, e Taste of Blood, che se non ricordasse troppo certi momenti più depressivi dei Radiohead (rivisti con una maggiore dilatazione ambientale) sarebbe un'eccellente conclusione acustica e malinconica.

Riassumendo, il disco è discontinuo e forse poco coeso nel suo crogiolo stilistico che in certi casi è perfettamente riuscito e in altri incespica in qualche ridondanza sonora o manca di un po' di personalità.

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