Voto: 
7.1 / 10
Autore: 
Filippo Morini
Genere: 
Etichetta: 
Valery records
Anno: 
2007
Line-Up: 

- Mike - voce
- Dimytry - chitarra
- Cacao - batteria
- Maledeo - basso

Tracklist: 

1. 0.066
2. She’s got a knife
3. Kissing cyanide
4. Coagulated and almost forgotten
5. Ravens and doves
6. Oxygen and a very good pili
7. It corrodes the stars
8. Cadavers under formalin
9. Love is dead
10. Ephe_dream
11. Burn the witches
12. Where somehow it’s always december
13. Of rust, needles and a taste of blood

Arcadia

Cold Cold Bodies

Cold Cold Bodies degli italianissimi Arcadia è un disco carico a mille, saturo di rabbia e martellamenti ritmici a cui si avvolgono densi riff di chitarra costituiti da poche, essenziali note.
Velocità, tecnica e impatto sonoro sono le loro principali caratteristiche, concentrate in pezzi coinvolgenti, pesanti ed gonfi di inquietudine che straripano metalcore e violenza sonora da tutti i pori.
La voce passa da pulite melodie cantate con toni claustrofobici e striscianti a muri di rabbia urlata senza controllo, mentre le dinamiche chitarre alternano monolitici passaggi numetal con arpeggi di grande atmosfera che ben differenziano le sezioni più rabbiose con quelle più melodiche e relativamente distese.
L’aggressiva batteria che contribuisce all’incessante pulsare di ogni canzone si affida spesso al doppio pedale, macinando battute su battute senza però dimenticare di essere originale ed espressiva, riuscendo ad evidenziare sfumature e flessioni strumentali che sarebbe stato più difficile cogliere senza il suo intervento talvolta fondamentale.

Ogni struttura viene abbandonata a favore di un oscuro e costante flusso sonoro talvolta arricchito da frasi pre-registrate in italiano (tutto il disco è cantato in inglese) che aggiungono angoscia e alienazione ad una musica decisamente poco amichevole per natura, sebbene alcuni punti di riferimento vengano fissati per non perdere la bussola in mezzo ad una tale stratificazione di suoni diversi e singoli frammenti della stessa canzone che si intrecciano l’un l’altro con velocità e precisione.
Metal core, hard core, numetal e qualche spruzzata di thrash ed industrial si mescolano in una miscela cancerogena e nociva che dal suo gusto indefinibile lascia emergere soprattutto i primi Korn (gli arpeggi desolanti pregni di chorus fanno immediatamente pensare a loro) e il furore quasi animalesco degli Slipknot (la voce e la maggior parte dei riff sono chiaramente ispirati a questa band, senza contare la fitta sezione ritmica).
I pezzi scorrono veloci, ma giunti a metà disco si rischia un certo principio di noia a causa della praticamente costante saturazione musicale che lascia poco spazio ad aperture di ogni genere, pressurizzando ogni cosa dentro ad una gabbia di rabbia, suonando ogni pezzo con l’acceleratore perennemente abbassato e senza lasciar prendere mai fiato, se non per pochissimi secondi.
La band insiste con un aggressività tale che la propria cattiveria diviene una lama a doppio taglio man mano che si prosegue con l’ascolto, rischiando seriamente di rendere assuefatto l’ascoltatore, che fatica a provare lo stesso coinvolgimento per tutto il disco.Non mancano tuttavia sezioni inaspettate e totalmente discordanti con il resto del disco ma che riescono nell’intento di caratterizzare meglio un pezzo, come il finale di It Corrodes The Stars lasciato interamente ad una coppia di chitarre acustiche che disegnano armonie sottili e leggere ma gonfie di amarezza, o l’assolo di Cadavers Under Formalin, lento e disteso, di grande effetto e carico di emotività.

Purtroppo, a parte la monotonia che sopraggiunge inesorabile nella mente di chi non è esattamente un appassionato fedele di questo genere, un altro grande difetto è la poco originalità del progetto che riesce a ritagliarsi il suo spazio grazie ad un’ottima tecnica e canzoni molto elaborate a livello strumentale, ma che non riesce a staccarsi da un filone tipicamente statunitense davvero troppo sentito.
Dopo aver ascoltato Slipknot e simili, l’effetto sorpresa della musica degli Arcadia si riduce notevolmente, solo le contaminazioni evidenti e la relativa “personalizzazione” dei loro pezzi li rendono (vagamente)riconoscibili in mezzo ai centinaia di gruppi che seguono il medesimo stile e condividono la stessa attitudine alla musica.
Buon disco, ben suonato e composto, anche se non viene proposto nulla di originale e veramente nuovo.

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