Voto: 
5.9 / 10
Autore: 
Francesco Tognozzi
Genere: 
Etichetta: 
Merge
Anno: 
2010
Line-Up: 

- Win Butler - vocals, guitar
- Regine Chassagne - vocals, piano
- William Butler - synth, bass, guitar, percussions
- Richard Reed Parry - double bass, keyboards, percussions
- Sarah Neufeld - violin, keyboards
- Tim Kingsbury - bass
- Jeremy Gara - drums

Tracklist: 

1.   The Suburbs
2.   Ready to Start
3.   Modern Man
4.   Rococo
5.   Empty Room
6.   City with No Children
7.   Half Light I
8.   Half Light II (No Celebration)
9.   Suburban War
10. Month of May
11. Wasted Hours
12. Deep Blue
13. We Used to Wait
14. Sprawl I (Flatland)
15. Sprawl II (Mountains Beyond Mountains)
16. The Suburbs (continued)

Arcade Fire

The Suburbs

Nel carnet estivo delle uscite discografiche di questo 2010 che non ha finora lasciato troppo il segno, la terza prova sulla lunga distanza dei giovani ma già navigati Arcade Fire non rischia certo di passare inosservata. Un’attesa di tre lunghi anni: tanto hanno dovuto aspettare i proseliti della superband canadese, carichi di entusiasmo e di una certa ansia che trovano giustificazione nello splendore dei primi due lp – già storia incisa sulla pietra (pensando soprattutto all’esordio Funeral) del decennio passato e non solo.
La soffocante calura d’agosto, che annebbia e confonde, aumenta in notevole misura il rischio di tirare prematuramente le somme di un singolo capitolo in un percorso che prima d’ora ha conosciuto solo acuti; la netta impressione, tuttavia, è che questo The Suburbs sia l’inaugurazione (e magari l’epitaffio) di un momento da ‘normali’ per il collettivo che più di tutti i suoi coetanei pareva predestinato a regalare solo emozioni forti, anzi fortissime.

Con l’ispirazione migliore che pare per il momento aleggiare altrove, gli Arcade Fire emergono dal quasi-oblìo con la loro fatica più colta e sofisticata, ma priva di quella verve, quell’incosciente arroganza di cui solo i primi della classe a battesimo sono dotati, che aveva fatto di “Laika”, “Rebellion” e le altre degli anthem generazionali più che semplice carne da dare in pasto al famelico pubblico indie-oriented. Messi da parte spada e fioretto, Win Butler e compagni sembrano più volersi schermire in questo frangente della loro carriera, crogiolandosi nella flemmatica e minuziosa ricerca del disco pop perfetto per dimostrare al mondo che il raggiungimento della maggiore età ormai è cosa fatta. Operazione rimandata, per il momento: il nuovo full-length è sì disco di pregevole fattura, per lo più godibile e a tratti persino vivace - fin qui minimo sindacale – ma sulla lunga distanza anche piuttosto sterile e faticoso da digerire (veramente eccessivo il cut definitivo fissato a 16 tracce), perché manchevole di quei cambi di marcia che avevano reso volitivi i primi due (capo)lavori in studio.
Un peccato non poter parlare di hat-trick con la stoffa che gli Arcade Fire hanno da vendere; purtroppo gli episodi marcatamente wave del lotto (Ready to Start, Empty Room) finiscono per fare da controfigura agli oscuri corrispettivi del fastoso esordio e dell'ottimo Neon Bible, mentre le trame più delicate e orecchiabili (Modern Man, Deep Blue, City with No Children) mancano un po’ di sale per permettersi di assurgere all’olimpo del pop contemporaneo, anche se compiaceranno presumibilmente molte orecchie al di fuori della cerchia ristretta di fan della prima ora. I due brani costituenti il singolo che ha anticipato di poco l’uscita dell’album sono poi forse i più trascurabili in assoluto: The Suburbs, superflua marcetta che strizza l’occhio alle più affabili sonorità d’Oltremanica, entra fin troppo bene nelle corde ma non lascia che la sensazione di una band che ha perduto l’audacia; Month of May, arrembante e monocorde, è addirittura fastidiosa nel suo ingenuo incedere neo-kraut, distante anni luce dalle gustose rotondità di cui i bardi di Montreal hanno dimostrato in passato di esser capaci. Tra i pezzi migliori viene invece da citare Rococo, che incanta con voluttuosi giochi d’archi e intrecci vocali a delineare un’atmosfera antica ed elegante, e la gitana Suburban War che consta del riff più indovinato dell’intero pacchetto e di un’escursione onirica sul finale che riesce solo a metà, ma funziona almeno da antidoto contro l’immobilismo imperante per l’intera durata del long-playing. Sprawl, in due atti, affoga sulle prime battute nella sua lugubre pretenziosità per poi rialzare debolmente il capo in un allegro space-pop che costituisce l’epilogo dell’album (volendo sorvolare la trascurabile appendice ovattata della title-track posta in outro); Half Light, costruita con la stessa logica, lascia un’impronta debole debole proprio quando a tratti, nelle linee melodiche e negli adorabili duetti della coppia d’assi Butler-Chassagne, sembra di scorgere l’essenza dei migliori Arcade Fire. A concludere, menzione d’onore per We Used to Wait, bella fin dal principio con una nota di piano in repeat-mode sulla quale si innesca una battuta in controtempo: clima post-atomico in un crescendo di tensione, suggestivo, finalmente completo – un solido blocco di partenza, carico di spunti sui quali ricostruire in tempi brevi qualcosa di davvero importante dalle ceneri di questo The Suburbs, che non è certo uno scivolone in piena regola ma ha troppo il carattere di una corsa a vuoto.

L’attesa discografica più golosa dell’anno – almeno per quanto concerne il vasto panorama indipendente – sfuma dunque in un’ora di canzoni dalle quali la compagine anglo-francofona esce complessivamente ridimensionata, senza che tutto ciò possa minimamente intaccare le meraviglie profuse in un passato che non è più recentissimo. Gli Arcade Fire sono ora in procinto di presiedere la giornata d’apertura all’I-Day Festival 2010, prima e unica data italiana di questo anno solare; nonostante il mezzo passo indietro, migliaia di fan si aspettano una grande serata di musica: tutto nella norma quando si sa di aver a che fare con degli indiscutibili luminari del nostro tempo, a prescindere dal fatto che essi siano capaci o meno di centrare il bersaglio ad ogni colpo.

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