Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Etichetta: 
Stealth Sonic
Anno: 
1999
Line-Up: 

- Noko - chitarra
- Trevor Gray - tastiere, samplings
- Howard Gray - sampling

Guests:
- Mary Mary - voce
- Harry K - voce, samplings, sintetizzatori, DJ-pad
- Kenny Cougar - basso, melodica
- Cliff Hewitt - batteria, percussioni
- Paul Kodish - batteria, percussioni
- Rhoda Dakar - cori
 

Tracklist: 

1. Are We a Rock Band or What?...
2. Stop the Rock
3. Crazee Horse
4. Cold Rock the Mic
5. Lost in Space (Theme)
6. For Forty Days
7. Heart Go Boom
8. The Machine in the Ghost
9. Blackbeat
10. Stadium Parking Lot
11. Yo! Future
12. High on Your Own Supply
13. The Perfect Crime

Apollo 440

Gettin' High on Your Own Supply

Gli Apollo 440, fondati dai fratelli Gray e da Noko, furono uno dei gruppi più sorprendenti e sottovalutati dell’ultima metà degli anni ’90. Abbastanza noti per le collaborazioni varie con nomi come Morphine, Depeche Mode o U2 ma soprattutto per la quantità industriale di covers/remix e per le partecipazioni in varie colonne sonore, la loro musica era qualcosa di bizzarro e unico, partendo dall’elettronica hanno creato un mix di generi che loro hanno saputo plasmare in maniera personale e rendere celebre, fino al terzo album, dove entrano di forza nel rock: come definirlo innanzitutto, questo Gettin’ High on Your Own Supply? Beh, rimaniamo fermi alle basi, che spaziano dall’elettronica club più ballabile mista ad un rock energico e ripetuto, toccando il dub nella sezione ritmica risaltata e nelle voci effettate, e in alcuni punti avvicinandosi allo sperimentale. Anche se ad inizio carriera gli Apollo 440 erano esclusivamente un gruppo elettronico, l’introduzione in breve tempo della chitarra, del basso e della batteria (quest’ultima spesso campionata) per via di numerosi ospiti musicisti (determinanti soprattutto in sede live dove erano stabili) ha portato molti critici a definirli con i termini più svariati come dance/rock, electro-rock, techno/rock, dub/rock ecc. E non c’è bisogno di dilungarsi troppo sul fatto che ci troviamo di fronte ad un gruppo davvero originale. Fondamentale per apprezzare gli Apollo 440 è non avere pregiudizi, in quanto la componente elettronica è sempre fortemente orecchiabile e ballabile: i più tradizionalisti del rock quindi molto probabilmente storceranno un po’ il naso ascoltando certi lavori.

Se così non fosse allora ci sono diverse cose interessanti da scoprire negli Apollo 440. La colonna portante di Gettin’ high on Your own Supply è come sempre per loro la grande melodia ed energia, che portano i dischi ad essere molto trascinanti e divertenti, unite a mix di campionature e strumentazioni che in alcuni casi possono venire definite, senza troppe esagerazioni, geniali. Il difetto principale è che le canzoni tendono a diventare ripetitive in alcuni casi, elemento ereditato dalla loro tradizione club/dance, ma è per fortuna marginale, ed in ogni caso le canzoni riescono sempre a tirar su con il loro ritmo e le loro melodie. Ultima nota, non esistono vere e proprie “canzoni” dato che i testi, quando presenti, sono ridotti al minimo in funzione del piglio melodico (cosa che può sembrare negativa, ma che invece si adatta al genere).

Comunque, per tutto l’album rimane fissa la domanda: sono una band rock o cos’altro? Probabilmente se lo chiedono anche loro, visto il titolo dell’opening Are We a Rock Band or What...: e dato che è un viaggio di sola tastiera e melodie elettroniche, e che non è presente il punto interrogativo, possiamo ipotizzare come sottintesa una qualche risposta... sempre che la risposta non sia celata dal brano successivo: subito parte la famosissima Stop the Rock, che tutti avete ascoltato almeno una volta in qualche colonna sonora (il remake di Gone in 60 seconds, Fifa ’99 e pubblicità varie) o nelle radio-trasmissioni dell’epoca. Il riff campionato da Caroline degli Status Wuo e il ritmo energico trascinano fortemente per tutto il brano; aggiungiamoci un pizzico d’ironia (“stop the rock, can’t stop the rock”, “dancing like Madonna” ecc.) e l’intrattenimento è assicurato. Apparentemente di contrasto le atmosfere elettroniche siderali di Crazee Horsee, ma l’intenso ritmo di batteria e il riff abrasivo, tendenzialmente country-rock, la rendono anche più spensierata. L’ottima Cold Rock the mic è un brano energico, rockeggiante, tendenzialmente ricordante i vecchi tempi degli anni ‘70/’80, ma forse troppo breve. Lost in Space (Theme) è un altro brano che molti han sicuramente già sentito di sfuggita, proveniente da una colonna sonora (in questo caso dal film omonimo): è famosa soprattutto per il melodicissimo giro di synth, molto catchy e ricordabile. For Forty Days è decisamente più atmosferica, solo tastieristica a parte il campionamento di batteria canonico. Le atmosfere sono dense di evocatività ed il brano ne riesce come uno dei migliori del repertorio. Heart Go Boom tradisce influenze britpop e alternative-rap ma mantiene la base effettistica, e si possono trovare anche alcuni spunti che sarebbero stati ripresi dai Gorillaz. Il riff energico tuttavia dopo un po’ risulta troppo stretto e il chorus molto orecchiabile a breve può stancare leggermente, ma nel complesso il risultato è molto ascoltabile e gradevole. Forti componenti elettroniche animano la magnifica The Machine in the Ghost (titolo citazione dai The Police), in uno scenario molto noir ed ancora una volta di sola tastiera nelle sue varie applicazioni. Blackbeat si avvicina all’elettronica industrial filtrata attraverso il big beat e il risultato è sorprendente, effetti dinamici e ritmiche decise sono solo l’assaggio dell’impatto della canzone. Ed ora viene la fulminante Stadium Parking Lot, una marcia dove un riff alla Led Zeppelin di Heartbreakeriana memoria incontra un rap fortemente catchy, effetti scratchati, tastiere melodiche di sottofondo ed una batteria semplice ma che tira molto. L’impatto risultante è altissimo.
Yo future! è l’ennesimo brano abbastanza noto, simile a Cold Rock the Mic ma con inversione di ruoli fra il riff di chitarra e quelli di tastiera, e compaiono ancora alcuni rappeggiamenti. Tocca ora alla semi-titletrack High on Your Own Supply, che fonde definitivamente la tastieristica degli Apollo 440 con alcune atmosfere dell’hip-hop melodico, ma costruendo atmosfere abbastanza oscure grazie anche al sassofono noir. La chisura dell’album è affidata alla magnifica The Perfect Crime: si fonde con effetti noir di stampo moderno e dalle atmosfere pseudo-cyberpunk. È un’eccezione il breve giro ripetuto del sassofono che compare di nuovo e condisce il tutto con quelle sensazioni notturne che impreziosiscono ulteriormente il lavoro degli Apollo 440. Chiusura che non lascia nulla di incompiuto in quest’album.

Sarebbe riduttivo etichettare quest’album e gli Apollo 400 come solo rock o sola elettronica, loro vanno oltre in un crossover di generi da cui la band di Liverpool riesce a trarre il massimo del coinvolgimento senza rinunciare a classe compositiva o inventiva.
Partendo all’inizio come gruppo dedito a soli remix, la loro è stata come una sfida, il creare pezzi loro e il contaminare il più possibile. L’evoluzione che li ha portati fino a Gettin’ High on Your Own Supply è la prova che la sfida è stata riuscitissima. Album consigliato vivamente a chi è interessato a qualcosa di easy-listening ma originale ed energico, oltre che ad un gruppo che mescola con brio la musica da club con numerosi altri stili in una formula sorprendente.

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