Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Genere: 
Etichetta: 
Stealth Sonic
Anno: 
1997
Line-Up: 

- Noko - chitarra, tastiera
- Trevor Gray - tastiera, samplings
- Howard Gray - tastiera, samplings

Guests:
- Mary Mary - voce
- Harry K - voce, programming, DJ-pad
- Cliff Hewitt - batteria, percussioni
- Dr. Garfield Hoxley - voce
- Billy MacKenzie - voce
- Keith Holden - armonica
- Ewan MacFarlane - voce
- Elizabeth Gray - voce


Tracklist: 

1. Stealth Overture
2. Ain't Talkin' 'Bout Dub
3. Altamont Super Highway Revisited
4. Electro Glide in Blue
5. Vanishing Point
6. Tears of the the Gods
7. Carrera Rapida
8. Krupa
9. White Man's Throat
10. Pain in Any Language
11. Stealth Mass in F Sharp Minor
12. Raw Power

Apollo 440

Electro Glide in Blue

Dopo essersi fatti una buona fama con il debut album e i numerosi singoli, nel 1997 crebbe l'attesa per gli Apollo 440, arrivata al livello di nomi come Chemical Brothers, Prodigy, Propellerheads e diversi altri a cui gli inglesi vennero accostati. Quello che è il secondo album degli Apollo 440 rappresenta un considerevole passo in avanti rispetto al precedente Millenium Fever: è da quest'album infatti che gli Apolli iniziano a sperimentare il loro particolare incrocio di generi (fra rock, big beat, e altre tendenze elettroniche varie) e a migliorare la struttura delle loro canzoni, che in precedenza risultavano più ripetitive e meno originali. Tuttavia, non siamo ancora al passo compiuto col famoso Gettin' High On Your Own Supply, ma il disco ne anticipa già diverse soluzioni.
Fondamentalmente, Electro Glide in Blue è un album elettronico che prepara al successivo balzo. Essendo quindi un anticipatore, non appare strano che la stra-grande maggioranza di chi conosce gli Apollo 440 abbia iniziato dal successivo disco. Chi è rimasto fermo ad esso sa comunque che per la band di Liverpool sono assai frequenti i vari remix, riproposizioni, citazioni nei nomi e anche covers (in ogni caso, solo pochi brani di un numero ben maggiore vengono inseriti negli LP). Avvine anche con Electro-glide, e con un inizio simile: dopo una overture di tastiera (atmosferica, mentre in Gettin' è in melodica) viene subito come secondo brano il remix, che è Ain't Talkin' 'Bout Dub. Sicuramente i rockers di vecchia data avranno già riconosciuto la citazione che è ai Van Halen (sostituendo una parola, love con dub).

Dopo la breve atmosferica intro di Stealth Overture (in riferimento a Stealth Requiem che chiudeva l'album precedente) sopraggiunge subito il tanto chiacchierato brano Ain't Talkin' About Dub: remix in chiave club/trance, ripetendo il motivo storico dei Van Halen e aggiungendo la drum-machine, una tromba e brevi effetti di tastiera atmosferica. E' una canzone in ogni caso dinamica, divertente e molto orecchiabile.
Altamont Super (Highway Revisited)
porta direttamente in campo la chitarra elettrica, propria degli Apollo, seppur nei limiti di certa elettronica odierna: non siamo ancora completamente nel territorio di Gettin' High, anche se l'esperimento di questo brano è a tutti gli effetti un primo abbozzo di quel che verrà in seguito. Gli effetti di synth moderni e melodici generano un contrasto con la chitarra, di stampo country rock, molto efficace, che aumenta verso i tre quarti di canzone quando sopraggiunge la fisarmonica che richiama l'influenza dei Led Zeppelin più folk-blues, come rivisti in questa ottica particolare e interpretati alla maniera degli Apollo.
Il risultato è ottimo e ampiamente godibile, per quello che è uno dei brani migliori del disco. Andiamo ora nella titletrack, i ben otto minuti di Electro Glide in Blue, dove la tastiera e i synth ricreano ambienti serali freschi e intensi, riecheggiando il chillout, il trip hop (soprattutto per il battito rallentato) e anche il funky; aggiungiamo alcuni timidi interventi blueseggianti di chitarra in sottofondo, sporadici scratch, una sezione ritmica che naviga dolcemente sul tessuto sonoro e soprattutto la voce calda e carismatica di MacFarlane. Otteniamo quella che forse è la canzone più bella e ricca del repertorio, dalle tinte notturne, di stampo soft ma ugualmente intensa e vissuta.
Vanishing Point entra in ambito trance, e le sue atmosfere celestiali si uniscono a leggeri arpeggi di chitarra in lontananza e all'intenso impianto drum'n'bass per un altro brano lungo e piacevole.
Tears of the Gods l'avete ascoltata più o meno quasi tutti anni fa in una vecchia pubblicità della Campari, perciò non stupitevi se vi sembra di aver già sentito quel suo riff southern rock e il ritmo regolare delle maracas che richiamano il latin rock, a cui si aggiungono anche alcuni effetti elettronici (di più la batteria filtrata e gli scratch in realtà) che aiutano nel completare un ottimo brano caldo, vivo e dinamico.
Carrera Rapida
si ricombina a influenze di nomi come Beach Boys o Dick Dale, più un refrain di tastiera che ricorda vagamente le colonne sonore delle spy stories, e unendosi al sassofono sul finire della canzone riavvicina la canzone ad atmosfere noir.
Una batteria vivacemente rock & roll introduce Krupa, ma subito subentra l'elettronica dance a seguire lo spunto di divertimento e di leggerezza; nel finale viene anche ripescato uno dei riff "estivi" di Carrera Rapida.
White Man's Through
è relativamente più sperimentale, nell'ottica degli Apollo: un brano di stampo jazz/funk in cui tornano nuovamente le atmosfere noir sostenute dai sassofoni, un riff portante di basso, un giro di tastiera ossessivo e acido. Molto interessante, ma la durata breve fa pensare che sia stata più una semplice parentesi con cui riattualizzare determinate influenze, ma da non approfondire troppo.
Pain in Any Language
è un'altra perla, probabilmente la migliore dell'album assieme alla tiltetrack. Cupa, a tratti spettrale, con influenze trip hop nelle ritmiche che sopraggiungono ad un certo punto e alla lontana anche dark per quel che riguarda le atmosfere oscure ma moderne (grazie anche agli effetti elettronici inseriti sempre al posto giusto), ed esprimenti, assieme al canto caldo e malinconico di Billy MacKenzie, uno scenario urbano malinconico e notturno; vi è anche un utilizzo di string-keys per rendere il tutto ancora più efficace.
La stupenda Stealth Mass in F#M riprende il tema della "overture" iniziale e la espande nel suo contenuto; le atmosfere e le percussioni tribali portano le influenze di compositori come Enigma e il loro ambient etnico (il che a sua volta assieme alle ritmiche downtempo riecheggia certo trip hop dalle tendenze più new age), ma il cardine del brano sono le tastiere che dipingono scenari spaziali e celestiali su cui si adagia l'angelica voce di Betty Gray.
La breve Raw Power torna a sonorità più energiche e divertenti con cui chiude l'album; il contrasto con i brani precedenti è forse troppo e sarebbe stato più efficace posizionarla a metà del disco lasciando che la chiusura fosse affidata a Stealth mass in F#M, la cui atmosfera è perfetta a tal scopo e simbolicamente si ricollega al brano iniziale, come a formare una catena.

In definitiva, questo album ci mostra degli Apollo 440 ormai maturi e consapevoli delle loro potenzialità altissime che cercano di concretizzare nella loro visione musicale. Da qui a Gettin' High on Your Supply il passo diventa breve e per questo Electro-glide in blue rappresenta una tappa obbligata per chiunque apprezzi la proposta musicale del trio di Liverpool. Rimane lo stesso un ascolto interessente per chiunque voglia provare qualcosa di diverso e di particolare, mentre chi non gradisce certi accostamenti fra l'elettronica e gli strumenti rock (o non digerisce affatto determinata elettronica) è quindi sconsigliato dall'ascoltarli.


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