Voto: 
6.5 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Genere: 
Etichetta: 
Secretly Canadian
Anno: 
2010
Line-Up: 

- Antony Hegarty - voce, musiche

Tracklist: 

1. Everything Is New
2. The Great White Ocean
3. Ghost
4. I'm In Love
5. Violetta
6. Swanlights
7. The Spirit Was Gone
8. Thank You For Your Love
9. Fletta
10. Sal SIlver Oxygen
11. Christina's Farm

Antony and the Johnsons

Swanlights

Il ritorno di Antony Hegarty è stato ed è tutt'ora uno dei più densi centri nevralgici delle attenzioni del pubblico musicale americano ed europeo. D'altronde, osservando gli sviluppi e la crescita di questo paffuto, fragile, introverso statunitense - con non pochi meriti divenuto probabilmente il miglior cantautore degli ultimi anni - non poteva essere altrimenti.
Un carriera, quella di Antony & The Johnsons, cosparsa di gioielli intensissimi che il cantautorato moderno farebbe bene a conservare gelosamente negli anni a venire, visto che lo spessore emotivo, l'incredibile qualità compositiva e l'eleganza del progetto tutto, sono aspetti che fin troppo raramente l'odierno scenario dei "cantastorie" ha visto venire fuori dal suo interno. Eppure Antony Hegarty è una figura che trascende il semplice cantautorato, lo salta a piedi uniti e lo riassembla tramite alchimie artistiche che nessuno mai, prima d'ora, aveva formulato.

Swanlights, in maniera ancora più evidente rispetto ai predecessori, calca il tratto su questa raffinata "diversità" cantautorale e ci presenta un Antony Hegarty sempre più lirico, cameristico, colto. E' per questo che, ascoltando attentamente il suo ultimo lavoro, parlare ancora di cantautorato risulta come non mai difficile ed inappropriato.
Se già un disco come il precedente, bellissimo The Crying Light lasciava presagire questo progressivo orientamento verso uno stile ancora più intimo e cameristico, Swanlights porta questo atteggiamento alla sua mera compiutezza formale, perdendo quasi letteralmente le tracce stilistiche degli esordi, magari più ingenue ma sicuramente più intense ed emotivamente vaste.

Tutto in Swanlights fluttua, danza soavemente nell'etere e si abbandona a intrecci strumentali cameristici come non mai sottili e leggiadri (Salt Silver Oxygen). Il problema è che se da una parte il nuovo Antony prende sempre più le sembianze di un direttore d'orchestra impeccabile nel suo abito raffinato, dall'altra perde colpi (e non ne perde pochi) a livello di intensità, di evocatività, di suggestione emotiva.
Quel melodismo decadente e malinconico (che fino a The Crying Light il songwriter statunitense ricreava perfettamente in quanto toccante specchio di una personalità frammentata e di un'anima tesa e vibrante) in Swanlights si assottiglia fino all'inverosimile per lasciare spazio ad atmosfere molto più eteree e solari (la leggera psichedelia di I'm In Love, il noioso soul di Thank For Your Love) e ad altre decisamente più "neutre" e insapore rispetto a quelle del recente passato (il duetto con Bjork di Fletta presenta qualche buono spunto nel finale ma passa piuttosto inosservato, The Great White Ocean e The Spirit Was Gone si nascondono dietro un velo di apparente malinconia ma non colpiscono, mancano d'intensità drammatica e si spengono senza lasciare mai davvero il segno).
Ad essere strano è il fatto che, in un disco che testimonia senza troppi indugi un orientamento sempre più colto ed elegante, i migliori momenti vengano fuori da quegli episodi che, in un modo o nell'altro, si distaccano da questo approccio fin troppo cameristico e neoclassico. Tralasciando Everything Is New e Ghost (limpidi esempi di equilibrio formale, peculiarità negli arrangiamenti e buone atmosfere), sono infatti l'omonima, stupenda Swanlights e la conclusiva Christina's Farm a risollevare le sorti dell'album e ad intensificarne profondamente le atmosfere: la prima lo fa attraverso un mesmerizzante rituale di voci con delay e viole filtrate (si tratta indubbiamente dell'episodio più ricercato del disco), la seconda invece abbandonandosi ad un tappeto di pianoforte e voce culminante in un finale semplicemente da brividi, unico momento di Swanlights in cui gli archi si dilatano e si liberano in tutta la loro forza drammatica.

Quarto tassello di una discografia divenuta ormai una vera e propria opera d'arte, Swanlights è al contempo il primo lavoro che - seppur in maniera molto sottile - getta qualche ombra sul progetto di Antony Hegarty. Lo fa perchè non basta un'orchestra professionista a rendere grande un album, perchè non bastano arrangiamenti floreali e da chef neoclassico per commuovere, perchè senza l'intensità delle corde interiori (quelle corde con cui la voce più toccante degli ultimi dieci anni ha commosso mezzo mondo e che in tal caso vibrano troppo debolmente) una musica come questa non potrà mai raggiungere le sue forme perfette. Ma forse anche per Antony Hegarty è arrivato il momento di mettere da parte le ombre, le sofferenze e i tormenti interiori, il momento di sorridere e compiacersi, il momento di dare vita (stando anche alla sua fama ormai incalcolabile) al suo primo vero e proprio esercizio di stile.


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