Voto: 
9.3 / 10
Autore: 
Stefano Magrassi
Genere: 
Etichetta: 
Island Records
Anno: 
1987
Line-Up: 

Joey Belladonna - Voce
Scott Ian - Chitarra
Dan Spitz - Chitarra
Frank Bello - Basso
Charlie Benante - Batteria

Tracklist: 

1. Among the Living
2. Caught in a Mosh
3. I Am the Law
4. Efilnikufesin (N.F.L.)
5. A Skeleton in the Closet
6. Indians
7. One World
8. A.D.I. / Horror of It All
9. Imitation of Life

Anthrax

Among the Living

Nel vasto e variopinto mondo del rock americano (ma più in generale in tutta la musica a stelle e strisce) vi è sempre stato una sorta di dualismo stilistico che ha visto confrontarsi in campo le due anime del paese: l'East Coast e la West Coast, il melting pot newyorkese e la Los Angeles di Hollywood e delle star del cinema, la pioggia di Seattle e il caldo umido della Florida. E di pari passo con le differenze geografiche, anche le differenze compositive si sono fatte sentire nel corso dei decenni.

Ovviamente anche il metal, ed in particolare il Thrash Metal, non potevano esimersi dal presentare questa doppia faccia, tant'è che negli anni ottanta queste diversità si sono acuite dando vita a due espressioni musicali delle stesso genere abbastanza dissimili tra loro. A ovest, in California, c'era la Bay-Area e San Francisco, c'erano i Metallica (in parte però originari di Los Angeles, come gli Slayer), i Testament, gli Exodus, i Megadeth e via dicendo tutti gli altri. C'erano produzioni consistenti, tante idee, tanta voglia di criticare quello che non andava, tanta serietà e una fortissima base hard 'n' heavy che influenzò il riffing di praticamente tutte le band nate e cresciute in quella zona.
E poi, invece, dall'altra parte dell'America, nell'East Coast ed in particolare in quella piccola babele chiamata New York, c'era il punk, quello dei Ramones e dei Misfits, quello del CBGB, c'era l'hardcore, c'era il completo mescolamento di svariate culture, c'era tanto Speed Metal, quello nudo e crudo degli inizi. Ma soprattutto c'erano loro, gli Anthrax, che tutto questo univano e rappresentavano al meglio. Lo spirito casinista e spesso politicamente impegnato tipico della grande mela, espresso con il sangue caldo e latino dell'anima italo-americana del gruppo e con quella buona dose di ironia tipica del personaggio di Scott Ian.

Era passato qualche anno dall'esordio Fistfull Of Metal, da quel suono sporco e così heavy; Dan Lilker aveva trovato gloria nella sua creatura preferita, i Nuclear Assault (altra band fondamentale per capire quello che a New York succedeva in quel periodo), mentre alla voce Neil Turbin era stato sostituito da uno "scugnizzo" incredibilmente dotato di nome Joey Belladonna. Era passato appena un anno dal giro di boa del 1986, che aveva segnato la completa consacrazione del genere (Master Of Puppets e Reign In Blood bastano come presentazione), e la risposta orientale non poteva farsi aspettare ulteriormente.

Nel 1987 esce Among The Living, il disco che meglio raccoglie in un'unica anima tutta la filosofia stilistica di un'intera zona geografica. E soprattutto era e rimane un album incredibile, il punto più alto della carriera degli Anthrax. Ogni singola traccia è un master-piece, l'irruenza dell'hard core più potente si unisce alle melodie tipiche dell'heavy metal che con l'aiuto di un riffing quadrato ed immediato creano una mix esplosivo, un inno all'headbanging spacca collo. Il tutto perfettamente confezionato con una produzione molto ottantiana, ma comunque superlativa, cristallina e calda. E quindi tra cori tipicamente 'core, tempi in quattro-quarti, chitarre sparate a mille ed una doppia cassa martellante ed incessante, veniamo scaraventati nel mondo socialmente corrotto ed anarchico dei cinque dell'antrace, intenti a spargere la loro malattia direttamente dal nostro stereo.

La title-track Among The Living apre il disco, facendoci subito capire con chi abbiamo a che fare: arpeggio malato ed arabeggiante, poi subito un bel mid-tempo marcato e melodico, riff che ti si stampa in testa ed è impossibile non seguire, e ancora un'accellerata improvvisa, cassa e rullante a mille e la voce di Belladonna, acuta e graffiante, a dominare su tutto. Senza dimenticare di inserire un ritornello trascinante e da cantare a squarciagola. La successiva Caught In A Mosh è un vero e proprio inno al pogo, che dal vivo miete vittime su vittime: riff quasi rock and roll, batteria hard-core, incedere duro e potente, è questa una delle canzoni più amate dei fan. A dimostrazione del lato più ironico della band di NY, a seguire troviamo I Am The Law, song dedicata niente meno che al noto fumetto Judge Dred, da cui si può anche desumere una certa critica verso certi metodi polizieschi. E' questa forse il pezzo più famoso del disco, per buona parte abbastanza lenta (e proprio qui sta la sua forza), aumenta prepotentemente di velocità nella parte finale, dove Belladonna dimostra tutta la sua bravura dietro il microfono, per poi di nuovo entrare in lidi più hard-core, con il drumming di Charlie Benante e il basso di Frank Bello a fare da padroni.
Ma se ancora non siete sazi di tanta potenza, aspettatevi dolori al collo per giorni ed un'insana voglia di pogare con qualsiasi oggetto si trovi in casa vostra a causa di Efilnikufesin (N.F.L.): sparatissima e guidata da un riff melodico difficilmente scordabile, troviamo ancora tanti bei cori e tanta trascinante e thrasheggiante velocità, che rendono quasi impossibile restare fermi ed impassibili.

Sicuramente questo quartetto iniziale è insuperabile, e difatti nella seconda parte del disco la differenza qualitativa rispetto ai primi minuti, seppur minima, si fa leggermente sentire. Ma anche nella seconda parte dell'album troviamo pezzi che hanno fatto la storia del gruppo e che ogni fan di thrash conosce molto bene. A Skeleton In The Closet si assesta sullo stile di tutto il platter, e questo non può che farci piacere, con però da notare una velocità ancora maggiore e a tratti un suono vicino a quello tipicamente Bay-Area. Anche Indians salta subito all'orecchio, grazie soprattutto al riff iniziale, ripetuto più volte durante la canzone, e per la ricerca di soluzioni che ricordano una sorta di cavalcata, in perfetta sintonia con l'argomento trattato nel testo. In generale però, anche il resto delle tracce (da A.D.I./Horror Of It All a One World) è di altissimo livello qualitativo e segue lil mood di tutto l'album, dando vita ad un ascolto compatto e ben indirizzato, dove magari le sorprese sono poche, ma la potenza generata è irresistibile.

Ci troviamo, quindi, di fronte ad un ennesimo capolavoro. Un'altra di quelle opere che bisogna avere in casa, che non solo ci intrattengono e ci fanno divertire per una buona cinquantina di minuti, ma ci danno gli strumenti per giudicare al meglio un genere. Per gli amanti del Thrash newyorkese, dei Nuclear Assault, degli Overkill del primo periodo, dei geniali S.O.D., questo è un ascolto obbligatorio e scontato; per chiunque non abbia mai sentito parlare di Anthrax, di irruenza hard-core che si fonde con lo speed e l'heavy metal americano, questo è il punto di partenza migliore per scoprire un mondo tutto nuovo. Storia punto e basta; che cos'altro si può dire?

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