Voto: 
8.5 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Etichetta: 
Dobles Production
Anno: 
2000
Line-Up: 

- Santiago Dobles - Chitarra, Coral Stir, Programming
- Danishta Rivero - Voce
- Sean Malone - Basso, Piano, Stick Loop
- Sean Reinert - Batteria, Tabla, Percussioni


 

Tracklist: 

1. Immortal Bliss
2. Satya
3. Transfiguration
4. Frames
5. Mind's Reality
6. Kali Yuga
7. Jivatma
8. Existance
9. Anugraha

Aghora

Aghora

Nati dalla formidabile mente dell’allora appena 19enne Santiago Dobles, gli Aghora rappresentano come se la rinascita, in chiave moderna (e "orientale"), della storica ma ormai scomparsa band dei Cynic.
Principale obiettivo del complesso statunitense è infatti quello di riportare in auge (come se si trattasse di un compito semplice) le vecchie sonorità e le sperimentazioni a cui il gruppo di Paul Masvidal aveva dato splendidamente vita nei primi anni '90; la cosa che però fa realmente balzare in piedi, è che ad aiutare il giovane Dobles ci sono proprio coloro che dietro il monicker Cynic hanno fatto la storia del death sperimentale, ovvero il duo Malone-Reinert (e poi Jason Gobel se si conta la sua parte da guest nella settima traccia).

L'omonimo Aghora è il primo, fascinoso, stupefacente lavoro della super band americana, un disco che spezza in due l'immaginario progressive moderno trascinandolo in una dimensione unica per carica atmosferica e perizia compositiva: a costituire l'esoscheletro di questo gioiello vi sono infatti il fine virtuosismo chitarristico di Dobles (anche se sicuramente più ingombrante di quello di Masvidal), il solidissimo impianto ritmico della magica accoppiata Malone-Reinert (elemento che maggiormente richiama i Cynic d'un tempo) e la voce, leggera e orientaleggiante, della singer Danishta Rivero.

Immortal Bliss è la canzone che avvisa il nostro apparato acustico di stare per ascoltare qualcosa di veramente imperdibile. E' infatti la prima, meravigliosa traccia a emblemizzare la direzione di ricerca compositiva degli Aghora, sfoggiando un repertorio tecnico-melodico di primissimo livello, da far accapponare la pelle.
Santiago Dobles si trova davanti in qualche modo l’eredità lasciatagli da Paul Masvidal, e riesce, anche se non ai livelli del suo predecessore, a rendere fluida e ammaliante ogni frammento del brano, grazie a inserti chitarristici che rientrano perfettamente nell’intero insieme strumentale.
Ne è prova anche la seconda traccia Satya, dove Malone crea la solita e formidabile base ritmica sulla quale Reinert e Dobles si impongono, lasciando uno spazio alla soave voce di Danishta Rivero che si scioglie in tutta la sua dolcezza espressiva.
In tutto questo affresco di aneliti trascendentali e di elevazioni meditative (condite al contempo da ottimi fraseggi in pieno stile prog-death) escono però allo scoperto due pecche abbastanza evidenti - anche se non troppo compromettenti - del disco, ovvero l’eccessiva somiglianza delle strutture armoniche, e la solita scala vocale eseguita dalla Rivero, anche se il contorno musicale offertoci dai musicisti fa dimenticare in un istante ciò che di "sbagliato" può esistere in un disco di tale bellezza.

Il continuo di alternarsi di parti che sfiorano la cattiveria del Death e di splendide slegature jazz rendono l’album originale e innovativo, come ci dimostrano canzoni come Transfiguration e soprattutto Frames, nella quale, dopo qualche attimo di tensione/crescendo emotivo, il brano si scioglie in un giro di arpeggi di chitarra da brivido, accompagnati da una tastiera soffice e atmosferica che ne sottolinea la brillantezza melodica.
Questo afrodisiaco sentiero continua fino alla conclusione data da Anugraha che si differenzia dalle precedenti per il mai così evidente richiamo a quel mondo fatto di meditazione induista e di riflessione interiore tipicamente orientale che ha tanto affascinato Dobles, spingendolo a strutturare la sua opera in questo concept che ha quasi del religioso.
Solamente quando l’album si ferma, dopo una tracklist di nove fantastiche canzoni, ci rendiamo conto di tenere tra le mani un capolavoro, un album che riesce a trasmettere emozioni mai provate, ad ogni suo onirico respiro.
 

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