Voto: 
6.5 / 10
Autore: 
Edoardo Baldini
Genere: 
Etichetta: 
Golden Lake Productions
Anno: 
2003
Line-Up: 

- Giorgio Mula - chitarra

- Riccardo Anzaldi - batteria

- Luigi Bertolotto - basso

- Alessandro Bruti - chitarra

- Federico Capellaro - voce



Tracklist: 

1. Paradise Lost (06:43)

2. Valholl (05:51)

3. Shub-Niggurath (05:48)

4. Beyond The Landscape (01:42)

5. The Dawn (04:05)

6. The Thing The Sleep In The Abyss (07:36)

7. Landscape (04:37)

8. La Lama (The Blade) (05:15)

9. A Closed Room (01:45)

Advent

The Dawn

Advent è il nome del progetto nato alla fine del 1998 a Torino, città caratterizzata da una scena underground molto florida e ricca, soprattutto in ambito estremo. La band da subito si propone di suonare un Black/Death Metal con elementi scandinavi e giunge alla costruzione di uno stile personale: nel 2003, dopo aver debuttato con due demo precedenti, viene alla luce il primo full-lenght, questo The Dawn, che si dimostra ben congegnato nell’efficace song writing, nordico e pungente. The Dawn, pubblicato dalla piccola casa discografica scozzese Golden Lake Productions, si struttura in nove tracce, le prime tre delle quali vengono riprese dalla demo Valholl, datata 2002.

Le prime sonorità apparentemente Gothic di Paradise Lost, dotate di un clean malinconico, sono spezzate da uno screaming abbastanza acuto, tagliente e penetrante: il genere proposto spazia dal Black più aggressivo a parti atmosferiche, tipiche del Viking/Folk nordico, nelle quali l’apporto delle tastiere sinfoniche di sottofondo diventa fondamentale per arricchire il tessuto dei violenti riffs disegnati. Così prende forma Valholl, forse la migliore dell’intero lavoro, scandita da un ritmo coinvolgente, sferzata da una voce filtrata, che presto si trasforma in un clean alla Vintersorg. La contrapposizione tra temi sostenuti, tipicamente Black, e notevoli aperture melodiche, evidenzia la capacità della band di fondere elementi brutali con un registro di eccellenti chitarre acustiche e tastiere corali.

In Shub-Niggurath, oltre ai sottofondi sinfonici compaiono spruzzate di pianoforte, fortemente contrastanti con il muro dei riffs delineati da chitarre e batteria: il ritmo è inarrestabile per tutta la lunghezza della canzone e si spegne solamente alla chiusura della galoppata verso Beyond the Landscape, apprezzabile stacco strumentale.
Anche la seguente omonima The Dawn è circondata da un alone epico e da un feeling molto pagano, ma sicuramente l’impatto verso l’ascoltatore è di minor rilievo rispetto alle tracce precedenti. Nonostante l’eccezionale impiego dei clean vocal, la struttura è abbastanza confusionaria in alcune sezioni: questo piccolo intoppo di percorso viene brillantemente superato con The Thing that Sleep in the Abyss, contraddistinta da uno screaming straziante e pungente per tutta la sua durata, che lascia poco spazio alle porzioni strumentali, come una centrale semi-acustica alla Ulver, di elevato livello stilistico.

Tutti i brani seguenti sono costituiti dagli elementi sopra descritti, che permettono un’analisi accurata del sound della band: ascoltando tetre perle strumentali come la breve traccia conclusiva, A Closet Room, si comprende che la formazione torinese ha ottime possibilità di potersi esprimere variando nuovamente il proprio genere; infatti, nonostante l’impetuosità caratteristica del Black Metal, nell’album si possono ricercare influenze Progressive estreme alla Borknagar o alla Amorphis, testimonianze di un song writing in costante evoluzione. Perciò il gruppo dovrebbe cercare di portare a compimento la fase iniziale della propria carriera, puntando all’unione di due generi musicali così diversi, ma così appassionanti, quanto Black e Prog.
In definitiva questo The Dawn costituisce un tassello fondamentale per la storia del five-piece piemontese, al debutto discografico con un’etichetta straniera: album non del tutto completo, ma che lascia intravedere buoni spunti compositivi per un futuro probabilmente internazionale.

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