Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
Emanuele Pavia
Etichetta: 
Probe
Anno: 
1968
Line-Up: 

- Robert Wyatt - Batteria, Voce
- Kevin Ayers - Basso, Voce (tracce 10 e 11), Seconda voce (tracce 7 e 9), Pianoforte (traccia 5)
- Mike Ratledge - Organo, Pianoforte (traccia 13)

Guests:
- Hugh Hopper - Basso (traccia 13)
- The Cake - Cori (traccia 12)
 

Tracklist: 

1. Hope for Happiness
2. Joy of a Toy
3. Hope for Happiness [Reprise]
4. Why Am I So Short?
5. So Boot if at All
6. A Certain Kind
7. Save Yourself
8. Priscilla
9. Lullabye Letter
10. We Did It Again
11. Plus Belle Qu'une Poubelle
12. Why Are We Sleeping?
13. Box 25/4 Lid

Soft Machine

The Soft Machine

"La leggenda dice che Canterbury era una specie di grande vivaio musicale ma non è vero: in realtà non successe nulla finché alcune persone non se ne andarono a lavorare a Londra o a Parigi o in qualunque altro posto. Semplicemente, a un certo punto capitò che una mezza dozzina di musicisti provenienti da Canterbury fondasse altri complessi. Canterbury è sempre stata - ed è tuttora - una cittadina molto conservatrice. È un posto in cui è molto difficile fare musica, di qualsiasi tipo. Forse fu una coincidenza. O forse no: forse, fu proprio per reazione a tanto conservatorismo che un po' di gente si mise a pensare diversamente, anche se era già comunque portata a farlo."
(Hugh Hopper)

I Soft Machine sono senza alcun'ombra di dubbio la band di punta della cosiddetta scena di Canterbury, ovvero uno dei movimenti più interessanti e importanti del rock a cavallo degli anni '60 e '70, che definisce un gruppo stilisticamente molto poco omogeneo di artisti che hanno conciliato nei più vari modi la musica d'avanguardia, psichedelica, pop, jazz e progressive legati più o meno direttamente appunto alla città inglese. Ma la storia di questo movimento affonda le proprie radici prima della formazione di questa band, ovvero all'inizio degli anni '60, quando nascono vari gruppi che avranno la funzione di trampolino da lancio per i musicisti delle band più importanti del genere (oltre ai Soft Machine, in particolare, i Caravan).

Tutto comincia intorno al periodo natalizio del 1960, quando Robert Wyatt, giovane di Canterbury appassionato di musica e impegnato nella sperimentazione in quest'ambito, conosce l'australiano Daevid Allen, anch'egli interessato alla musica e alla poesia. Nella primavera del 1963 i due, insieme a Hugh Hopper, formano il Daevid Allen Trio, complesso che riscuote un discreto successo tra gli amici dei tre musicisti. Il trio viene in seguito raggiunto anche dal fratello di Hugh Hopper, Brian (che durante le sessioni - dominate dall'improvvisazione di matrice jazz e dai testi poetici di Allen - compone anche un brano, Hope for Happiness), e da altri musicisti, tra cui Mike Ratledge al pianoforte. Il Daevid Allen Trio, però, non durerà a lungo: nello stesso anno infatti Allen lascia il gruppo per andare a Parigi.
I quattro membri rimanenti decidono comunque di continuare la carriera musicale ripartendo da  zero, perciò si riuniscono a Canterbury per suonare jazz. Ben presto, però, nel 1964, abbandonano il  tutto e si imbarcano in numerosi viaggi nei quali sperimentano nuove esperienze, musicali e non, che aiutano la  maturazione di tutti i membri (in particolar modo Wyatt prova per la prima volta l'LSD e conosce alcune tecniche di registrazione quali gli eco a nastro che decide di applicare anche per la sua voce). Successivamente Wyatt intraprende una carriera jazz con un trio a Maiorca, dove oltre che a maturare  ulteriormente grazie alla collaborazione ravvicinata con strumentisti esperti, attira Kevin Ayers, che sporadicamente si esibisce alla chitarra nello stesso posto.

Intanto, i fratelli Hopper sono ritornati a Canterbury, dove decidono di intraprendere una carriera beat con Richard Sinclair alla chitarra (futuro membro dei Caravan); i tre vengono presto raggiunti da Wyatt e Ayers, in ritorno da Maiorca, che entrano nel gruppo rispettivamente alla batteria e alla voce (seppur Ayers si diletti anche con il tamburello e nel comporre poesie). Il quintetto viene nominato "Wild Flowers" da Hugh Hopper, ma Ayers, per omaggiare Oscar Wilde, decide di aggiungere una "e" a "Wild". È la nascita ufficiale del complesso dei Wilde Flowers, che prova a casa dei due Hopper e il cui repertorio comprende rhytm and blues, jazz, pop e canzoni originali. Il quintetto matura grazie a giornate di prove e di ascolto di nuovi artisti insieme alla ricerca di nuove tecniche e idee; si esibiscono in concerto occasionalmente, ma vengono accolti timidamente, motivo per cui Ayers decide di andarsene, venendo rimpiazzato da Graham Flight; successivamente sia Sinclair che Flight lasciano la band, perciò Wyatt diventa vocalist e Richard Coughlan (altro futuro membro dei Caravan) diviene il nuovo batterista dei Wilde Flowers. Il complesso così cambiato si esibisce in un locale di Canterbury, il Beehive, riscuotendo anche un relativo successo.

Nel frattempo Ayers, dopo aver lasciato i Wilde Flowers, raggiunge Allen a Maiorca, dove nasce una primissima idea di formare una band propria. Tornano così in Inghilterra, comprano una propria strumentazione e fondano un proprio gruppo che partecipa a jam session insieme ai Wilde Flowers; Wyatt partecipa a entrambi i progetti - anche a causa di alcune tensioni all'interno dei Wilde Flowers, dovute soprattutto al suo desiderio di cambiare rotta stilisticamente parlando -, anche dopo che i Mister Head (il nome del complesso che comprende Ayers al basso e alla voce, Allen alla chitarra ritmica e seconda voce, Larry Nolan, chitarrista americano conosciuto a Maiorca, e Wyatt alla batteria e alla voce) abbandonano definitivamente l'idea di collaborare ulteriormente con i Wilde Flowers.

A causa di alcune vicende legali i membri dei Mister Head (escluso Nolan, che però li raggiunge occasionalmente per suonare) sono costretti a muoversi a Londra, dove Ayers ottiene un contratto con l'agenzia degli Animals, permettendo anche al resto del gruppo di firmarne uno grazie alle sue composizioni. Nell'agosto del '66 si arriva all'ennesimo cambio di line-up: il tastierista Mike Ratledge arriva da Oxford, dove ha studiato musica classica e d'avanguardia, ed entra nella band (che riesce anche a comprare per lui un organo elettrico Vox Continental con distorsore, strumento che renderà molto più aggressivo il suo stile). Con l'arrivo di un nuovo membro, si decide di cambiare monicker: viene scelto così il nome Soft Machine, dall'espressione con cui William Burroughs definisce l'umanità intera in un suo libro omonimo; la band considerava tale formula adatta a loro, in quanto il loro scopo era appunto attirare il maggior numero di ascoltatori con la loro musica. Nonostante queste premesse, però, le prime date si rivelano degli insuccessi, con concerti interrotti senza preavviso e spettatori non soddisfatti; vengono inoltre rifiutate proposte discografiche che prevedono il successo dei Soft Machine a discapito della loro libertà decisionale in merito alla musica da comporre e suonare, e successivamente Nolan decide di abbandonare la carriera musicale nel settembre dello stesso anno. I Soft Machine rimanenti continuano tuttavia a partecipare ad eventi in cui incontrano anche personaggi di spicco di quegli anni (come per esempio Paul McCartney), e cominciano ad adottare uno stile jazzistico nelle performance dei brani pop composti da Wyatt e Ayers - come per esempio l'ampio spazio dato all'improvvisazione nei concerti -, preludendo a un'attitudine fusion della band.

Nel gennaio del 1967 i Soft Machine registrano il loro primo 45 giri, Fred the Fish/Feelin' Reelin' Squeelin', che però riscuote scarso successo, e collaborano anche in qualche sessione con Jimi Hendrix (sotto contratto con la stessa agenzia dei Soft Machine), senza cessare però l'attività live (è notevole la data del 26 aprile 1967 allo Speakeasy, dove suonano con band del calibro di Mothers of Invention, Velvet Underground e Pink Floyd, che non avranno un ruolo marginale nell'evoluzione dei Soft Machine). A luglio si ritrovano in Francia per una festa della birra, ma al momento del viaggio di ritorno sorge un problema: Allen infatti non ha i permessi necessari per lasciare la Francia, per cui solamente Wyatt, Ayers e Ratledge tornano in Inghilterra, mentre Allen rimane a Parigi (dove formerà con Gilli Smyth un'altra importante band di quegli anni, ovvero i Gong). I Soft Machine, ora divenuti un trio, continuano comunque a suonare concerti, partendo anche in tour negli Stati Uniti e in Canada a inizio 1968 con i Jimi Hendrix Experience: questi ultimi, essendo a conoscenza delle difficoltà economiche dei tre ragazzi, li incoraggiano fino ad arrivare a regalare a Wyatt il drum-kit di Mitch Mitchell; subito dopo la fine delle date con Jimi Hendrix, ad aprile, i Soft Machine si spostano a New York, per la registrazione del loro primo LP che viene poi pubblicato nel novembre dello stesso anno.

Le novità introdotte dal disco sono molteplici: la forte componente melodica (erede della tradizione beat e pop anni '60) unita alla formazione jazz dei musicisti e al contesto storico favorevole alla psichedelia rendono The Soft Machine (questo il titolo dell'album) una pietra miliare per la musica successiva, in cui ritornelli accattivanti si alternano a follie improvvisate (durante le quali spicca Mike Ratledge, che si diletta quasi come un Jimi Hendrix dell'organo per praticamente tutta la durata del lavoro) su cui fa capolino la voce flebile di Robert Wyatt, il tutto condito dall'humor e dall'attitudine poco seriosa di Kevin Ayers.
La prima facciata dell'album, formata da composizioni legate naturalmente l'un l'altra come in una suite, si apre con il pezzo Hope for Happiness, il brano composto da Brian Hopper molti anni prima della registrazione dell'album: Wyatt, protagonista per la prima parte del brano, descrive atmosfere oniriche e soffuse, basate sui botta e risposta della sua voce creando un ottimo impianto vocale, accompagnato semplicemente dalla batteria che introduce lentamente il corpo centrale del pezzo, in cui Ratledge prende le redini del gruppo slanciandosi in velocissimi passaggi e assoli con il suo strumento, ben sostenuto dalla base ritmica e accompagnato dalla voce che duetta con lui. Senza preavviso alcuni accordi dell'organo preludono alla successiva Joy of a Toy, in cui domina Ayers e il suo basso distorto, che rendono l'atmosfera del disco molto più psichedelica e rarefatta rispetto a quella più dinamica e jazz della traccia precedente; in un climax crescente di intensità, in cui gli altri due musicisti ritornano a far sentire la propria presenza, viene brevemente ripreso il tema principale di Hope for Happiness, ma gli elementi jazz vengono ulteriormente ampliati, come si può notare facilmente dal pazzo duetto finale di organo e batteria. Segue a ruota l'altrettanto breve Why Am I So Short?, dove nuovamente il solo Wyatt introduce il brano prima che si aggiungano Ratledge e Ayers. Questa traccia conduce al vertice della Side A, dove l'improvvisazione di matrice jazz in salsa psichedelica regna sovrana: So Boot if at All, che aprendosi con una stridula introduzione d'organo si evolve in un susseguirsi di assoli da parte di tutti e tre gli strumentisti, descrivendo un brano che spazia tra tinte confusionarie e ipnotiche, che strizzano l'occhio ora alla musica free-jazz, ora alla musica psichedelica - basti pensare alla parentesi a metà brano, dove i tre strumenti fondono la propria musica per creare un tessuto allucinato e geniale, prima di lasciare spazio a un assolo di batteria condito da brevi passaggi di organo. Pochi secondi di canto preannunciano il brano posto a chiusura della prima facciata, A Certain Kind, pezzo composto da Hugh Hopper, in cui dominano la voce di Wyatt e l'organo di Ratledge, che si dimostra meno schizofrenico, escluso un solo abbozzato sfogo a cui s'aggiungono batteria e basso a fine brano, a segnare anche la fine della prima facciata del vinile.
La seconda metà del disco, più frammentata e meno unitaria, si apre con Save Yourself, dove al contrario dei brani precedenti risaltano le influenze pop nella musica dei Soft Machine (come accade in generale per tutti i brani della seconda facciata), senza comunque risultare stucchevole, ma anzi sempre condito di psichedelia e jazz, seppur in maniera meno radicale. Nella successiva brevissima Priscilla la band traccia un ponte tra il pezzo precedente e Lullabye Letter, dove vengono riprese le influenze pop di Save Yourself, nonostante il gruppo non perda nemmeno qui l'occasione per degenerare in momenti di improvvisazione più confusionari e pazzi. We Did It Again si tratta di un brano estremamente ripetitivo, il cui testo si basa sul titolo ripetuto allo sfinimento per tutta la durata del pezzo, mentre musicalmente è caratterizzato da pochissime variazioni, come qualche sporadico crescendo di intensità dell'organo o variazioni della batteria - ripetitività voluta e ricercata da Kevin Ayers, il quale, rifacendosi a un principio zen, era convinto che qualcosa di ripetitivo risulti interessante proprio per ricercarne la minima variazione -; dopo un finale più movimentato, si giunge a Plus Belle Qu'une Poubelle, altro breve brano di matrice psichedelica il cui tema abbozzato dal basso viene ripreso dall'organo nella successiva Why Are We Sleeping?, in cui partecipa pure il complesso dei Cake nei cori del ritornello, e in cui ritornano a farsi sentire le reminescenze beat dei Soft Machine, che danno alla luce uno dei brani più orecchiabili di tutto il platter. Chiude infine il lavoro Box 25/4 Lid, duetto di Ratledge e Hugh Hopper (che suona il basso in questo pezzo) composto nella camera d'albergo in cui la band alloggiava alla vigilia dei quattro giorni di registrazione dell'album.

Nonostante i Soft Machine stessi non fossero totalmente entusiasti del risultato (Ayers in particolare si è lamentato della scarsa professionalità per quanto riguarda la registrazione dei brani, con produttori disinteressati che inserivano sul cd pezzi presi praticamente in diretta), questo lavoro rimane seminale e fondamentale per la musica degli anni '60-'70 (e non solo): i Soft Machine varcano i limiti imposti dal genere prendendo da pop, jazz e psichedelia e si pongono tra i capofila dei precursori del progressive rock inglese (insieme ai Family), dando vita a un prodotto peculiare e interessante, importantissimo per gli esponenti di musica fusion che avrebbero poi fatto parte della cosiddetta scena di Canterbury.
 

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