Premiata Forneria Marconi
(Patrick Djivas)
di: 
Edoardo Baldini
30/01/2006



 

Dopo due anni trascorsi a comporre il nuovo Dracula - Opera Rock, la Premiata Forneria Marconi, storico gruppo Progressive Rock italiano, concede un'esclusiva intervista a RockLine.it attraverso il bassista Patrick Djivas, che rivela alcuni particolari dell'album e ripercorre la sua carriera lungo le nostre domande...


E.B. - Ciao Patrick! Prima di iniziare con l’intervista, vorrei ringraziarti per la disponibilità concessa a RockLine.it. Come preannunciato, ripercorreremo insieme le tappe della tua carriera personale, fino a Dracula, ultima tua pubblicazione con la PFM.
Iniziamo dagli esordi. Tu non sei un bassista di origine: so che strimpellavi la chitarra nel tuo primo gruppo e che solo successivamente rimpiazzasti il bassista diventando professionista due anni dopo. Cominciasti a suonare per un gruppo francese di Blues, i Joyce e i Jokers. Spiegaci com’è avvenuto il passaggio dalla Grecia, tua terra natìa, alla Francia e qual è stato il motivo che ti ha spinto a seguire la via della musica come lavoro.

Patrick - In realtà sono nato, un po’ per caso (mia madre era in viaggio), in Francia e ho passato i primi dodici anni della mia vita in Tunisia dove la parte greca della mia famiglia viveva. Come mia mamma era stata infermiera nel esercito francese durante la seconda guerra mondiale, fu naturalizzata francese e io nacqui come cittadino francese. Siamo stati rimpatriati a Nizza, nel sud della Francia, dove ho passato relativamente poco tempo visto che da l’età di 17 anni ho incominciato a suonare in giro per la francia e parte dell’europa. Non ho mai pensato a cosa mi fecce scegliere la musica come obbiettivo per la mia vita, non poteva semplicemente essere diversamente, nulla altro mi passò mai per la testa. Sì, è vero, confesso di essere stato chitarrista, tra l’altro scarsissimo. Passai al basso per la provvidenziale (per me!) epatite virale che ebbe il bassista di Joyce e i Jockers. Eravamo appena arrivati a Francoforte e non trovammo nessuno per sostituirlo. La mia migrazione al basso doveva essere temporanea, ma dopo il primo concerto tutti i ragazzi del gruppo si strinsero intorno a me, facendomi un sacco di feste, furono tutti d’accordo: ero io il vero bassista del gruppo. Da quella sera non ho più lasciato il basso.

E.B. - Nel 1972, prima di incontrare Johnny Lambizzi e Giulio Capiozzo (che lavoravano da poco con Demetrio Stratos), eri al servizio di Lucio Dalla con Leandro Gaetano. Cosa ricordi di quel periodo prima del fatidico incontro con gli Area di Stratos?

Patrick - Ricordo una enorme passione per la musica e il jazz in particolare. Sono gli anni che mi hanno formato come musicista, è lì che ho scelto l’indirizzo musicale che avrei dato alla mia vita. Andavo molto d’accordo con Leandro, la pensava esattamente come me, eravamo inseparabili e parlavamo di musica 24 ore su 24. La primissima formazione degli Area fu il trio con Leandro e Giulio (Capiozzo), accompagnavamo Demetrio la sera e il giorno provavamo per i fatti nostri, un bel giorno Demetrio assistete alle quelle prove e fu travolto da quello che suonavamo, e lì avvenne un piccolo miracolo, di quelli che capitano solo nei film: Demetrio ci chiese se poteva entrare a fare parte del nostro gruppo, mentre noi eravamo il suo gruppo per le sue serate. Una situazione credo unica che dimostra quanto gli interessi e la passione per la musica erano forti all’epoca.

E.B. - L’anno seguente, il 1973, fu l’anno di Arbeit Macht Frei, che tutti ricordiamo come la migliore espressione del sound Area. La vostra musica altamente politicizzata diede la scossa a molte masse giovanili e studentesche del periodo, risultando rivoluzionaria e al passo coi tempi. Per spiegare questo tipo di musica Stratos disse: “ci sono cinque musicisti che hanno una rabbia repressa perché hanno suonato per tanti anni quello che volevano i padroni”. Nella tua esperienza personale, sei mai stato costretto a suonare ciò che ti imponevano “i padroni”?

Patrick - Non ho mai avuto questo problema, ho sempre suonato in gruppi miei a parte la brevissima parentesi con Lucio Dalla. Se mai ero il mio stesso padrone e credo di essere stato molto esigente nei confronti di me stesso. Per quanto riguarda Arbeit Macht Frei, l’ho riascoltato poco tempo fa e sono rimasto sorpreso di quanto questo disco fosse avanti. Sono molto fiero e felice di avere partecipato alla realizzazione di questo capolavoro.

E.B. - Quali sono stati i motivi del tuo abbandono con gli Area? Descrivici com’è avvenuto il passaggio dagli Area alla PFM, dove prendesti il posto di Giorgio Piazza e con cui incidesti nel 1974 L’Isola di Niente.

Patrick - I motivi di questa mia scelta sono stati parecchi, da problemi di divergenza nella visione del futuro a problemi di direzione che volevo dare alla mia vita. Sono passati 32 anni e non ho ma rimpianto questa scelta. A parte il fatto che per me, più che la scelta, quello che conta è come la porti avanti. Il trauma del passaggio non durò molto e l’amicizia tra noi tutti rimase intatta.

E.B. - La musica degli Area era profondamente diversa da quella della tua nuova PFM. Come ti trovasti a dover cambiare stile di composizione, pur rimanendo in un’ottica Progressive?

Patrick - Non è stato un problema, ho solo dovuto adottare nuovi punti di vista. Ho pure dovuto sgobbare, non è facile inserirsi in un gruppo come la Premiata.

E.B. - Presto giunse il successo internazionale e vi si aprirono le porte del redditizio mercato americano. Il pubblico statunitense è sempre stato molto caloroso nei confronti della Premiata Forneria Marconi. Qual è stato il vostro segreto per poter sfondare all’estero? Insomma, solo pochi cantautori italiani negli anni ’70 hanno avuto il privilegio di essere amati ed ascoltati al di fuori del nostro Paese.

Patrick - Credo che la nostra genuinità nel essere prima di tutto musicisti fu la nostra arma vincente. Poi avevamo caratteristiche particolari, intanto una grande energia (anche se hai visto 20 concerti della PFM, sei sempre travolto dall’energia) e la propensione a l’improvvisazione che, nella musica progressive, non è una qualità diffusa. Una struttura all’Inglese nella costruzione delle composizioni e un approccio Americano, molto elastico, nel modo di interpretare questa composizioni.

E.B. - Proprio in America in quegli anni, i mitici Settanta, facesti due incontri che cambiarono la tua vita: Leo Fender e Jaco Pastorius. Raccontaci qualcosa di queste esperienze.

Patrick - Ci vorrebbe un libro per raccontare queste due meravigliose esperienze, ti posso solo dire che sono particolarmente onorato di essere stato amico di questo due giganti del nostro tempo. Entrambi hanno modificato la società, Leo con l’invenzione dello strumento che permise lo sviluppo del rock e della musica pop in generale e Jaco per avere dato a quello stesso strumento una connotazione che nessuno si sarebbe mai aspettato. Erano, come tutti i geni, persone difficili e complicate e le leggende sul loro conto sono infinite. Per quello che mi riguarda, mi rendo conto che possa sembrare strano, il sentimento che privilegia su tutti gli altri è l’affetto, per Leo che mi ha sempre dato l’impressione di essere molto solo, senza la minima percezione di chi era e cosa rappresentava e per Jaco che era emotivamente un passerotto travestito da aquila reale, con la sua ingenuità mescolata alla disarmante lucidità musicale.

E.B. - Dopo aver pubblicato album di studio quali Chocolate Kings, Jet Lag e Passpartù, tra il 1979 e il 1980, proprio durante l’uscita del vostro nuovo Suonare Suonare, intraprendeste il tour con Fabrizio De Andrè. Da quel tour nacque il doppio live-cd che tutti ancora oggi ascoltiamo ed amiamo. Come vivesti l’esperienza con Fabrizio? Se mi permetti un giudizio personale, i già splendidi pezzi di Fabrizio furono notevolmente valorizzati dal vostro ri-arrangiamento strumentale. Come avete proceduto nel lavoro di rinnovamento sonoro di quelle celebri ballate?

Patrick - Questa fu un esperienza molto importante. Fu intrapresa un po’ alla leggera, senza pensar più di tanto alle difficoltà che potevano sorgere. La PFM ha sempre questo atteggiamento con le cose, specie se complicatissime da realizzare, si butta senza pensare. Non so se è incoscienza o fiducia nei propri mezzi, probabilmente un miscuglio delle due cose. Come i tempi stringevano, ci siamo divisi il materiale e, per la prima volta, abbiamo arrangiato brani individualmente per rifinirli insieme. Questa scelta forzata divenne l’arma vincente e ci permise di fare un lavoro vario e pieno di personalità, dove ognuno di noi era valorizzato come musicista individuale all’interno di una struttura come la PFM. Per esempio, è facile dedurre che Giugno 73 fu arrangiato da me visto che parte con un solo di basso e che tutto l’arrangiamento si basa sul basso, oppure Un Giudice passò dalle mani di Flavio che lo interpretò con la fisarmonica. Senza questa modalità di lavoro, questi due brani a detta di tutti particolarmente riusciti, non sarebbero stati probabilmente arrangianti nello stesso modo. C’è anche da dire che Fabrizio, noto per essere molto esigente con i suoi musicisti, ci lasciò carta bianca e accettò ogni nostra scelta con entusiasmo.

E.B. - Da quel lontano 1980 fino ai nostri giorni è stato un crescendo di consensi da parte del pubblico italiano ed estero. A distanza di anni provi ancora le stesse sensazioni nell’esibirti davanti alle folle, in particolare quelle italiane, nelle piazze, nei teatri e nelle arene?

Patrick - Il concerto è sempre per noi un momento topico. La nostra propensione all’improvvisazione ci permette di non annoiarci mai, addirittura chi ci conosce bene sa che modifichiamo costantemente la parti individuali, ho suonato Celebration 4000 volte ma mai due volte uguali. Quindi la sensazione è sempre forte perché la voglia è sempre forte.

E.B. - Giungiamo così alla vostra ultima pubblicazione, Dracula. Descrivici brevemente l’album, sia dal punto di vista dei testi del concept, sia quello strettamente musicale. Quali elementi avete cercato di fare emergere in questa Opera Rock?

Patrick - La prima cosa che abbiamo fatto è di scrivere ed arrangiare in modo di potere dire a testa alta “opera rock” e non musical. Tenevamo molto a questa caratteristica da quando abbiamo incominciato. L’idea di Dracula è partita da Flavio che si è molto impegnato per questo progetto. Il CD della PFM è solo un estratto dell’opera completa che dura un paio d’ore. Il personaggio Dracula non ha bisogna di presentazione, visto che si dice che è uno dei due o tre personaggi più famosi a livello planetario ma, come succede spesso, l’immaginario collettivo è piuttosto riduttivo. Abbiamo cercato di scavare nella storia di questo personaggio, proponendo un interpretazione molto più complessa della solita visione del vampiro di aspetto terrificante che dissangua chi li capita a tiro. Non dico una riabilitazione ma una rilettura di sicuro.

E.B. - In quanto tempo avete concepito Dracula? Di solito come procede il song-writing?

Patrick - Sono più di due anni che lavoriamo su Dracula. La scrittura è stata portata avanti da Flavio e da Franco, come succede spesso per la musica della PFM, anche se la fase arrangiativa, che realizziamo insieme, interviene spesso nella scrittura stessa. Poi certe cose nascono da improvvisazione collettive, come l’ouverture di Dracula che trovo particolarmente efficace e bella.

E.B. - Ho letto che avete già un calendario di date ricco e ben definito per i prossimi tre mesi. Proporrete in versione live i brani di Dracula?

Patrick - Per ora non è ancora successo. La PFM si rifiuta di suonare con l’apporto di computer o altri marchingegni e come Dracula ha molto lavoro d’orchestra e altro, stiamo ragionando su come presentare alcuni brani dal vivo senza snaturarli troppo ma senza metterci sotto la tirannia di un click, situazione per noi assolutamente inaccettabile.

E.B. - Tu, Franz, Franco e Flavio rappresentate il nucleo inseparabile della PFM dal 1974. Qual è il segreto per rimanere così fedeli ad un rapporto non solo di amicizia, ma propriamente lavorativo, per così tanti anni? Tu e gli altri della band riuscite ad incontrarvi come amici al di fuori del lavoro?

Patrick - Più che amici siamo parenti, e come tutti i parenti che si rispettano non andiamo mai al cinema insieme ma sappiamo di potere contare gli uni sugli altri in qualsiasi momento. E poi abbiamo la nostra musica in comune e siamo coscienti che la “magia” della PFM arriva da le nostre quattro personalità così diverse e così forti. Accettiamo i problemi che inevitabilmente si propongono quando sono quattro solisti a comporre un gruppo, puoi immaginare che non è sempre facile, ma la PFM ci dà così tanto che gli dobbiamo questo ed altro.

E.B. - Hai mai pensato ad intraprendere una carriera solista? Se sì, cosa ti piacerebbe suonare? Hai in programma nuove sperimentazioni per il futuro?

Patrick - Come tutti i musicisti, ho pensato qualche volta ad un esperimento solista, ma non ne sento il reale bisogno, visto che con la PFM mi esprimo senza nessun limite. Fare un lavoro solista, quando sei esigente come ognuno di noi, sarebbe un lavoro da titano o lascerebbe un po’ di amaro in bocca, ma mai dire mai…

E.B. - Al momento con chi stai collaborando oltre a portare avanti il lavoro con la PFM?

Patrick - Ho parecchie attività in corso che mi stanno appassionando. Voglio fare qualcosa per il mio strumento e per la musica visto che hanno fatto così tanto per me. Sto quindi creando un accademia di basso elettrico che sarà diffusa in tutta Italia, con bellissime iniziative e didattica particolarmente curata. I personaggi che saranno il motore dell’accademia sono al top mondiale e il progetto è veramente entusiasmante. Vi terrò al corrente dell’andamento della cose e sarete i primi a sapere quando saremo pronti. Un altro progetto grandioso (è la prima volta che ne parlo) è che sarò direttore di una nuova rivista che si occuperà di basso e batteria e della vita dei musicisti in generale. È un progetto nuovo ed estremamente ambizioso ma sembra che si stia concretizzando, aspettatevi di tutto perché le idee che stiamo buttando giù sono veramente fuori. Anche di questo progetto vi terrò al corrente…

E.B. - Ho notato che hai preparato dei programmi di studio sia per apprendisti che per professionisti bassisti: sei quindi sempre in prima linea ad aiutare i giovani che vogliono intraprendere l’esperienza con questo strumento. Ma se brevemente ti chiedessimo di dare un consiglio a tutti coloro che si sono avviati da poco allo studio della musica, tu cosa diresti?

Patrick - Sì, ho fatto didattica per qualche anno e, devo dire, con grandi risultati, ma la cosa si è allargata e non sono più in grado di gestirla. Questa è la ragione per la quale ho deciso di impegnarmi in un certo modo creando l’accademia di basso. Ricevo centinaia di mail di ragazzi che cercano aiuto con lo strumento o con la musica, e penso che entro breve tempo, sarò in grado di dare una mano. Per il consiglio, direi semplicemente di avvicinarsi alla musica con il rispetto che merita e con la consapevolezza che, se ti diventa amica, lo sarà per tutta la vita, al di là della professione o meno. La gioia di sentire la nona di Beethoven o Are you experienced di Jimmy Hendrix con le orecchie di un musicista è impareggiabile, è un arricchimento totale per tutta la vita.

E.B. - Ora scegli, all’interno del repertorio di tutta la tua carriera, la canzone che più ha segnato la tua vita e spiegane il motivo.

Patrick - Sono due, La Luna Nuova, che ho scritto quando ero ancora con gli Area e che la PFM ha portato al successo in tutto il mondo. È un simbolo per me, all’interno ci sono tutte le mie radici e la mia visione senza frontiere della musica. Ricordo che quando suonai il tema iniziale per la prima vota, Eddy Busnello, il mitico sassofonista degli Area, era con me. Quando sentì il tema, Eddy alzo gli occhi e mi disse “mi hai toccato il cuore” e se ne andò. Eddy era il musicisti più straordinario con cui ho mai suonato. L’altro non è un brano ma è la sigla del TG5. Sono molto fiero di questa composizione perché dura 7 secondi e ha un’introduzione, un tema con sviluppo e una conclusione, una sinfonia bonsai e, a distanza di una quindicina d’anni, tiene sempre allegramente la scena.

E.B. - Da quando sei diventato professionista, hai mai avuto momenti di crisi in cui hai pensato di abbandonare e di dedicarti ad altro o la musica è sempre stata la tua compagna di vita?

Patrick - Mai pensato di fare altro. Ho fatto la mia prima esibizione alla veneranda età di 14 anni, e ho incominciato a guadagnare due lire a 17. Da allora non mi sono mai fermato. Ho messo il basso da parte quando mi sono cimentato nella scrittura e realizzazione di musiche per la TV, ma sempre di musica parliamo. Ora il mio strumento mi da le stesse soddisfazione di quando ero ragazzo e questa è la cosa più bella. Ho brividi nella schiena al pensiero di vivere senza musica.

E.B. - Per concludere…una domanda un po’ strana, che mi sorge leggendo il titolo dell’ultima vostra compilation/best of, Gli Anni Settanta: se tu potessi, torneresti indietro nel tempo fino agli anni ’70? Da un lato rimangono sempre i mitici anni ’70 con le loro passioni e le loro utopie, però le strumentazioni sono andate migliorando con lo sviluppo dell’elettronica e dei computer…

Patrick - Io non mi guardo mai indietro. La mia filosofia di vita non prevede la nostalgia, ma la curiosità, ed è l’unica cosa che il passato non ti può soddisfare visto che l’hai gia vissuto. Ho sempre pensato che ogni periodo ha lati positivi e negativi, la cosa essenziale e accettarli e sopratutto non confonderli. Gli unici anni ’70 che vorrei vedere sono i 2070 ma forse chiedo troppo.

E.B. - Ti ringrazio ancora di cuore per il tempo concessoci. Se vuoi aggiungere qualcosa che mi sono dimenticato di chiederti, puoi farlo. Concludi come preferisci l’intervista e grazie di nuovo da RockLine.it!

Patrick - Volevo solo ricordare un altro progetto della PFM per il 2006: PFM in Mozart. Gia da un anno stiamo preparando uno spettacolo con la sinfonica di Savona e la direzione di Filippo Maria Bressan con protagonista la musica di Mozart, il più Rock dei classici. Se fosse in giro oggi, Mozart avrebbe senz’altro tatuaggi e piercing e, vicino a lui, Keith Richard sembrerebbe un chierichetto. Quindi immaginate la PFM inglobata in una sinfonica di 43 elementi che suona Mozart alla sua maniera. Faremo 10 eventi durante l’estate 2006 e altri dieci eventi all’estero. Ve lo dicevo che la PFM è incosciente…

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