Porcupine Tree
(Richard Barbieri)
di: 
Matteo Zorzoli, Giulia Avanza
10/01/2010



 

In occasione della data milanese del tour italiano, RockLine.it raggiunge Richard Barbieri, tastierista e mente dell'elettronica che permea la dimensione Porcupine Tree. Richard si sofferma in particolare sui retroscena delle nuove esibizioni live della band inglese, descrivendo anche la genesi dell'ultimo capitolo di studio, The Incident...


M.Z. - Ciao Richard, grazie prima di tutto per averci concesso questa esclusiva. Come va?

Richard - Tutto bene, grazie.

M.Z. - Come sta andando il tour fino ad adesso?

Richard - Tutto bene. Meglio che mai. Molte più persone stanno venendo ai nostri show, i concerti sono ogni volta più grossi; quindi va tutto per il meglio.

M.Z. - Cosa pensi riguardo questo successo crescente?

Richard - E' strano, perché non era il nostro obbiettivo. La musica sta forse diventando più commerciale e non è un cambiamento che ci favorisce. Noi suoniamo pezzi da 55 minuti. Non siamo particolarmente "di tendenza", non lo siamo mai stati.

M.Z. - Quali pensi che siano le cause?

Richard - Credo che il motivo sia da ricercare nel fatto che continuiamo a prestare attenzione su quello che vogliamo, senza focalizzarci troppo su quello che dobbiamo fare. A volte, se si ha il coraggio di osare con qualcosa che si vuole fare, la gente lo rispetta. Quando qualcuno si lancia nell'ambito commerciale vuole piacere alla gente, e credo che la gente se ne accorga; penso che riesca a cogliere un po' di disperazione in un gesto simile. Ritengo comunque che questo successo sia stato incrementale; quando un nostro concerto termina, la gente torna la volta successiva con quattro o cinque amici. E' un passaparola e ci è voluto del tempo per arrivare fin qui.

M.Z. - Ultimamente le vostre esibizioni comprendono appunto un brano di 55 minuti ininterrotti. All'inizio è stato difficile o stancante?

Richard - Sì, senza dubbio. Fisicamente e mentalmente estenuante. Fisicamente per Gavin e Wilson, mentalmente più che altro per me, perché non faccio davvero niente di molto fisico, ma la concentrazione è molto intensa, in quanto si tratta di un pezzo strano, molto dinamico. Nella prima parte del concerto è curioso il fatto che il pubblico inizi ad ascoltare la strofa e il ritornello e successivamente si innescano nuove trasformazioni. Non viene seguito il normale percorso e tutti questi cambi dinamici sono difficili da rendere sul palco, dato che sul palco è molto più complesso restare concentrati. Ma il pubblico sembra apprezzare e rimane tranquillo, prestando attenzione. Grazie a tutti questi elementi il pezzo è diventato assai piacevole. Nella seconda parte del concerto ci rilassiamo e tutto va meglio.

M.Z. - Parliamo del vostro ultimo album, The Incident. A cosa si riferisce la scelta di questo titolo?

Richard - In realtà è stato Steven a pensare a questa parola, Incident, come titolo per l'album. In Inghilterra si usa spesso questa parola per descrivere qualche evento traumatico, ma ovviamente è solo un'accezione che non rappresenta interamente il suo significato. E' come se si passasse accanto ad un terribile incidente stradale. Credo che quello che Steven abbia pensato sia che The Incident è sì soltanto una parola, ma per le persone coinvolte non è un evento ordinario, è molto drammatico e fa cambiare la vita. Quindi ha iniziato a scrivere riguardo questo tipo di avvenimenti, soffermandosi su quelli che hanno coinvolto lui ma anche quelli di cui ha letto sui quotidiani, o che ha visto al telegiornale.

M.Z. - L'album inizia con un riferimento alla teoria del Rasoio di Occam. Cosa volevate comunicare con questo incipit?

Richard - Ciò che significa per me probabilmente non è ciò che significa veramente. E' interessante, perché originariamente The Incident aveva un inizio totalmente diverso e alla band non piaceva. Steven lo voleva, ma a noi non andava bene e per questo abbiamo discusso; quindi alla fine ha voluto scrivere qualcos'altro. Credo che il Rasoio di Occam stia a significare che a volte l'approccio più semplice è il migliore. Credo sia abbastanza semplice come inizio e credo che funzioni. Così avevamo un nuovo incipit.

M.Z. - Per quanto riguarda le altre canzoni invece?

Gli altri titoli descrivono più il contenuto del testo. Noi vediamo The Incident come una questione a parte, perché si possono immaginare quattordici canzoni racchiuse in una. Noi le vediamo perché le sezioni hanno lo stesso tempo e la stessa tonalità.

M.Z. - Una domanda più tecnica: nei vostri concerti usate molti effetti e delle basi musicali. Come fate a restare sincronizzati con la base?

Richard - Fondamentalmente restiamo sincronizzati perché tutti quanti portiamo un click. La musica è sincronizzata con una parte visuale. Usiamo il sistema E.N.E.A. e così, quando la musica finisce nel silenzio, o quando c'è solo un pianoforte di sottofondo, noi sentiamo il metronomo. In questo modo Gavin non deve fermarsi.
A volte il pubblico inizia ad applaudire, sempre fuori tempo. Se non avessimo il click rischieremmo di desincronizzarci.
Oltre al click, di sottofondo c'è una traccia continua con alcuni effetti, un'orchestra ed altre cose non realizzabili sul palco.

M.Z. - Musicalmente The Incident sembra dare un'idea di libertà. Credete di aver esplorato ogni confine? E come è stato registrarlo?

Richard - La registrazione è andata bene. Abbiamo due approcci diversi alla registrazione: da una parte Steven compone da solo e ci porta le canzoni, noi le riarrangiamo e suoniamo sopra la traccia base. Potrei dire che "animiamo" le canzoni.
Un altro approccio è quando lavoriamo tutti assieme, come una band dovrebbe fare. Andiamo in uno studio, in Inghilterra, fuori città, dove abitiamo tutti.
Stiamo lì per un paio di settimane. Non ci sono interruzioni, lavoriamo per quattordici o anche quindici ore al giorno, componiamo tutti assieme, mettiamo assieme le idee. Tutto dipende dalla dinamicità della band, perché l'idea di uno solo può cambiare l'idea di qualcun altro nel giro di un minuto.
A volte noi tutti abbiamo un'idea e Steven ne ha un'altra e quindi cerchiamo di soddisfare entrambe le parti, raggiungendo qualche compromesso. Quando Steven compone da solo, spesso vengono fuori dei brani particolari. Lui si fa spesso influenzare da altri artisti.

M.Z. - Come, per esempio, in Dogs?

Richard - Esatto. Non ho ascoltato molto l'album The Animals, ma molte persone sono giunte alla tua stessa conclusione.

M.Z. - Perché avete deciso di strutturare The Incident in due parti?

Richard - Perché quando Steven ha iniziato a lavorare da solo a questo progetto, ha composto questo brano molto lungo di 55 minuti. Era molto affezionato al suo lavoro e quindi l'abbiamo tenuto. I lavori che facciamo tutti assieme, come band, hanno portato un paio di tracce che funzionavamo, non erano delle bonus track per l'album, erano altrettanto importanti, ma abbiamo voluto creare una divisione dentro all'album stesso, come un doppio album breve.

M.Z. - Pensi che con le nuove performance del tour di The Incident possiate soddisfare ascoltatori di estrazioni musicali molto diverse?

Richard - Stiamo facendo la stessa scaletta per tutto il concerto, diviso in due parti. La prima parte riguarda tutto The Incident, mentre la seconda parte è una selezione di canzoni recenti e vecchie, che variano di città in città. Quindi credo che possiamo soddisfare ogni tipo di pubblico.

M.Z. - L'intervista è terminata, grazie per il tempo che ci hai dedicato. Puoi concludere come preferisci, a presto da RockLine.it!

Richard - Spero di poter tornare presto in Italia, ci piacerebbe molto fare più concerti in più location diverse, ma non sappiamo cosa ci attende ora. Abbiamo già suonato in luoghi più grandi rispetto all'ultima volta, quindi speriamo in meglio.
Grazie a tutti per il vostro supporto.

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