Helloween
(Marcus Grosskopf)
di: 
Andrea Evolti
20/04/2006



 

Gli Helloween sono da sempre considerati, anche per lo stile delle loro liriche, delle copertine e per l’attitudine sul palco, un band "ironica ed auto-ironica"; lo si è visto nel corso degli anni con video, con le loro cover popolate da mascotte dalla testa di zucca, dal prendere con ironia anche temi pesanti trattati nei loro testi. Tutto questo, però, si concretizza e si esplica più chiaramente quando incontri e parli, piacevolmente, pochi minuti prima del concerto degli Axxis, con Marcus Grosskopf, bassista e componente "superstite", assieme a Michael Weikath, della prima formazione delle "zucche di Amburgo"...

A.E. - Allora Marcus, viene spontanea, come prima domanda, sapere come, quando e, soprattutto, perché sia nata l’idea di un terzo capitolo per la saga di Keeper Of The Seven Keys, che molti pensavano conclusasi nel 1987 con l’uscita del secondo disco raffigurante il guardiano.

Marcus - Bisogna attribuire ai Weikey (Micheal Weikath) il merito, la paternità di quest’idea. Durante tutti questi anni gli Helloween hanno composto molti album, hanno subito cambiamenti molto drastici all’interno della loro line-up, hanno esplorato nuove direzioni nel quale far evolvere un sound che è, però, rimasto fedele a se stesso. Dopo tutto questo, però, i due Keeper continuano ad essere uno degli elementi distintivi della nostra discografia, l’immagine, se vogliamo chiamarla così, con la quale i nostri fan ci rappresentano e ci identificano. La domanda che Weikey e noi ci siamo posti è: come suonerebbe oggi un disco che riprenda l’idea di Keeper, senza voler essere solo nostalgici? Legacy, tradizione: questa è stata la sua domanda. Cosa rimane di quel periodo negli Helloween di oggi e come è cresciuta e ci ha fatto crescere questa tradizione, cos’è avvenuto nel mondo del guardiano in tutti questi anni? Questo è il motivo della nascita di questo terzo capitolo di Keeper. E noi abbiamo pensato: perché no? Perché non dovrebbe venir fuori qualcosa d’interessante e che funzioni?

A.E. - Ma si tratta di una prosecuzione puramente musicale oppure anche la storia del guardiano continuerà dal punto di vista lirico? Ci sono delle nuove storie legate a quelle dei primi due Keeper ancora da raccontare?

Marcus - La prima cosa che è nata è stata la musica, quindi abbiamo cercato di dare continuità a quei primi due album stando attenti, però a due cose: non fare un disco anacronistico e che cancelli le nostre evoluzioni ma, allo stesso tempo, non perdere il legame con quel passato, ricordandoci che c’è una storia da portare avanti, la quale nasce molto prima degli album fatti con Andy. Weikey, io ed Andy abbiamo creato prima la musica e le linee vocali, cercando di portare avanti quel discorso nel contesto attuale della band. I testi, ovviamente, sono legati alla situazione lasciata nel 1987, che è il punto di partenza, ma subiscono, ovviamente, l’influenza della band com’è adesso nel 2006, con le novità rispetto ad allora quali Andy o l’assenza di Kay, certe nuove scelte sonore.

A.E. - La storia del concept di Keeper, ed in particolare quella del nuovo capitolo The Legacy, è molto seria, ma voi sul palco, come da sempre fate, assumete un atteggiamento molto spiritoso, divertente e, spesso, autoironico. Come mai questi opposti, che poi si fondono a meraviglia?

Marcus - Certo e la ragione è semplice: la tematica, di per sé, è già seria. Essere ancora seri (o seriosi) anche sul palco, appesantirebbe tutto e rovinerebbe anche la magia del suonare dal vivo. La parte seria è presente nel disco ed, a livello drammatico, la segui ascoltandolo e leggendoti i testi. Quando si è sul palco però, essendo noi una metal band, ci vogliamo divertire e divertire la gente, pertanto non volgiamo e non riusciremmo, al di là di tutto, ad essere così seri e ligi all’atmosfera della storia narrata dai testi. Offrire un gran spettacolo divertendoci, perché è questo suonare metal dal vivo, controbilancia la serietà delle storie raccontate: sarebbe inutile e dannoso appesantirle ulteriormente con atteggiamenti che non ci appartengono.

A.E. - Spesso siete stati definiti come una delle prime "Happy Metal band"; non vi ha mai dato fastidio questa definizione, magari perché poteva dipingere la vostra musica come poco seria e non di spessore e peso nella scena metal?

Marcus - Assolutamente no! E’ una definizione come tutte le altre, non ci trovo nulla di offensivo o riduttivo. Potrebbero anche definirci goth metal band per quanto mi riguarda, visto che certi temi cupi li trattiamo nelle liriche, senza voler fare una classificazione in base allo stile musicale. Ogni altra definizione legata alle nostre tematiche, se logica, potrebbe andar bene.

A.E. - Ma cosa si nasconde dietro ad un titolo come Mrs God?

Marcus - E’ una visione spiritosa, una specie di scherzo, nell’immagine come la prenderebbe il mondo e quindi, come reagiremmo noi tutti, se Dio venisse ancora sulla terra sotto sembianze umane, ma stavolta decidendo di essere donna e non uomo. Vedere come reagiremmo noi, scoprendo che la nostra visione di Dio, spesso legata ad una certa iconografia classica, non è esattamente così precisa, visto che parliamo di Dio e non di un essere umano. Vedere quanti riuscirebbero a capirne il messaggio ed ad andare oltre i nostri limiti visivi, non facendosi prendere dallo sgomento e rifiutando questa ‘seconda venuta’…come, però, era già successa con la venuta di Cristo, attaccato da tutti e non riconosciuto dalle istituzioni di allora. E’ comunque uno scherzo, non vogliamo fare teorie teologiche rivoluzionarie.

A.E. - Avete avuto come guest, nel brano Light the Universe, Candice Night, dei Blackmore’s Night e moglie dello stesso Richtie Blackmore; com’è nata questa collaborazione e com’è stato lavorare con lei, cantante di un genere non vicinissimo al vostro?

Marcus - In pratica, ad essere onesti, questa collaborazione non c’è stata…se non in via del tutto virtuale! Candice era a New York per registrare il nuovo album dei Blackmore’s Night, mentre noi stavamo incidendo a Tenerife. Le avevamo parlato di questa proposta di collaborazione per un brano dell’album, visto che amiamo molto la sua voce e quello che fa con la sua band e ritenevamo fosse la cantante giusta per quella parte vocale; lei si è dimostrata subito entusiasta della cosa e della canzone stessa. Pertanto ha registrato a New York le parti vocali sulla base che, via internet, le avevamo spedito noi, e ci ha inviato il suo lavoro, sempre tramite il web. In sostanza non posso dirti come sia lavorare con lei gomito a gomito: miracoli della tecnologia!

A.E. - Come sta andando finora il tour di Keeper Of The Seven Keys - The Legacy?

Marcus - Ovviamente i risultati non sono omogenei, variano da paese a paese. Ad esempio nel continente americano, specialmente in Sud America, abbiamo avuto dei buoni responsi live, forse anche superiori a quello che i dati di vendita del disco avrebbero fatto pronosticare. Di sicuro, i momenti più esaltanti, per quanto riguarda il pubblico e la sua partecipazione numerica, li abbiamo avuti fino ad adesso, in Germania (ovviamente!) ed in Giappone che per molte metal band è una specie di seconda patria, visto il grande interesse e le strutture che questo paese mette a disposizione per il metal. Tutto sommato, finora, siamo molto soddisfatti, anche del calore del pubblico e dei fan che ci hanno accolto; però il piatto forte lo avremo stasera, visto che è la prima data italiana. Qui l’atteggiamento del pubblico è uno dei migliori del mondo che una band metal possa trovare.

A.E. - A tuo parere, ed in tutta onestà, il ripescaggio di un titolo come Keeper Of The Seven Keys quanto incide sulla possibilità di vendere molte copie? Un titolo così carico di storia può essere il fattore principale che spinge una persona a comprare il vostro ultimo disco ad occhi chiusi?

Marcus - Beh ti racconterei una grande menzogna se ti dicessi che un titolo del genere non influisce minimamente sulle vendite del disco! Tutt’altro, aiuta e come a vendere più dischi perché va a ripescare due dai dischi più significativi degli Helloween, lavori a cui i nostri fan sono legati come all’essenza stessa della band, anche perché le aspettative intorno ad una release con un nome del genere sono, ovviamente, enormi. E ti dirò di più: aiuta a vendere anche più merchandasing! Ma questo è solo un aspetto della situazione. Il titolo non è stato sicuramente scelto con questo intento, anche se era una conseguenza che, alla fine, prevedevamo: la volontà era quella di riunire gli Helloween per ciò che sono attualmente e continuare un discorso iniziato molto tempo fa, che ha singificato molto per noi, per aggiungere un nuovo capitolo, sempre inerente a quella storia, ma scritto da un gruppo che si è evoluto, ha fatto nuove esperienze, imparato nuove cose. Questo è il senso della parola tradizione: qualcosa che tiene i contatti con le tue origini ma ti permette anche di andare avanti, mantenendo la tua identità.

A.E. - In album come Better Than Raw e The Dark Ride il vostro sound si era incattivito moltissimo, inserendo elementi quasi di metal estremo e thrash tecnico, come alcuni riff ed un complesso e terremotante lavoro di batteria. Perché in The Legacy questi tratti del nuovo Helloween-sound sono stati un po’ accantonati e non avete provato a mixare questi aspetti?

Marcus - Di certo la tua osservazione è giusta ma devo subito premetterti che, come band, gli Helloween hanno sempre inglobato ed adattato influenze nuove e diverse nel proprio stile, pensa ad esempio a pezzi come Dr. Stein, molto hard-rock. Queste scelte, che poi tanto scelte non sono, vanno fatte risalire ad un discorso puramente compositivo: quando si scrive una canzone si segue un flusso e le influenze vengono fuori spontaneamente, anche in base all’album o alla singola canzone che stai scrivendo. Album come Better Than Raw e The Dark Ride sono composti così perché sono nati in quel mood e così si dovevano sviluppare: le cose che ci avevano influenzato sono venute a galla naturalmente perché i pezzi richiedevano questo. Con il nuovo Keeper è stata la stessa cosa; partendo da un discorso legato ai primi due album della saga, abbiamo proseguito il discorso. Forse il fatto che andavamo a prendere come punto di partenza un materiale più melodico della nostra carriera (se ci pensi noi abbiamo esordito con Walls of Jericho che era più aggressivo dei due Keeper), ci ha portati, inconsciamente, ad accantonare certi "modernismi", spigolosità e tecnicismi del nostro suono attuale, per riscoprire una vena più classica metal ed anche hard-rock. Ovviamente non ritengo che l’album suoni retrò, visto che molte soluzioni appartengono anche al nostro sound attuale. Semplicemente le canzoni richiedevano, nascendo e crescendo questo, e forzare un songwriting per mettere a tutti costi un elemento stilistico al suo interno, la trovo una pessima idea per un musicista.

A.E. - Recentemente avevate suonato in uno show assieme a Hansen, uno dei fondatori del sound-Helloween. Ora circolano voci su una probabile reunion con Kiske: c’è qualcosa di vero?

Marcus - Guarda penso proprio che siano solo chiacchiere, anche perché ne vengo a conoscenza solo ora. Con Hansen c’era stata quest’occasione perché i rapporti erano stati molto buoni negli ultimi anni, di conseguenza ci sembrava giusto festeggiare, a questo punto della nostra carriera, con chi ha fondato gli Helloween ed è tuttora un amico. Di Kiske, sinceramente, non so più molto a livello personale. Non abbiamo avuto occasione di sentirci negli ultimi anni e conosco solo le cose che ha fatto lui musicalmente da quando ha lasciato la band. No per ora penso che sia assolutamente improbabile una cosa del genere e quello che hai sentito temo sia l’ennesimo pettegolezzo o speranza spacciata per vera, nell’ambiente musicale.

A.E. - Marcus, il tuo modo di suonare il basso, tra i primi nel metal ad usare le dita e non il plettro, così pulsante pieno di note e molto curato sotto l’aspetto tecnico, è uno dei tratti distintivi del sound Helloween: quali sono stati i bassisti che ti hanno ispirato e quali attualmente riscuotono il tuo apprezzamento?

Marcus - Da buon metallaro e bassista che suona senza plettro, è ovvio che Steve Harris, con il suo stile personale e fortemente incisivo, mia fortemente ispirato, specie nella tecnica, come è stato anche per un altro grande del passato come Jaco Pastorius. Inoltre io sono un fan del suono cattivo che Lemmy Kilmister ha saputo creare: un vero propulsore ritmico. Tra i bassisti attuali, che seguo perché m’interesso sempre di un po’ tutta la musica, non solo metal, c’è sicuramente quel geniaccio di Billy Sheehan; fuoriclasse di tecnica ma anche di gusto.

A.E. - Marcus, sento che gli Axxis hanno iniziato ora il loro concerto quindi il nostro tempo finisce qui. Ma prima vorrei farti un’ultima domanda. Visti tutti i tuoi successi come musicisti e la fama che hai raggiunto, ti senti una rock star delle volte? Ti capita mai di riconoscerti, anche solo un po’ nello stereotipo del musicista rock?

Marcus - Dio mio no!!! Ahahaha! Per niente e non solo perché non sono così ricco!! Io sono un musicista che ama il metal ed il rock, la cui vita è dedicata alla musica ed il fatto di poter fare solo questo mi rende già privilegiato rispetto ad altri che devono fare un lavoro di supporto per poter vivere suonando. A me interessa la musica, suonare dal vivo, divertirmi in tour con i ragazzi della band e degli altri gruppi! Certo il fatto di guadagnare con questo non mi dispiace, ma certi atteggiamenti da rock star mi fanno proprio ridere e non sono proprio attinenti con la mia natura e con la mia visione di musicista rock. In Germania si dice "Fare il matto" (tradotto dal tedesco direttamente da Marcus), quando si dice che uno suona rock o metal, per via della spettacolarità di come si muove sul palco: headbanging, far roteare al testa, alzare lo strumento al cielo, incitare il pubblico. Questo è essere musicista rock per me. Il resto, per me, non conta!

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